UN ALTRO MONDO V.M. 14 anni

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Moderatore: nihal87

UN ALTRO MONDO V.M. 14 anni

Messaggiodi claudia » 17/11/2010, 14:16

Premessa: è stata gio ad insistere perché lo pubblicassi anche qui, quindi prendetevela con lei :mrgreen: .
Si tratta di una fan fiction scritta per un forum essenzialmente al femminile, quindi non c'è tanta azione, ma in compenso c'è un po' di miele. Di conseguenza prego coloro che soffrono di diabete o carie di astenersi. E' la mia prima prova di scrittura, siate pietosi.
Riconosco di aver attinto a piene mani dai volumi fantasy che ho letto nel corso degli anni e spero che nessuno si senta offeso da questo. L'originalità non è il mio forte :( :oops:


UN ALTRO MONDO

La pioggia le sferzava il viso e il corpo. Cercava di ripararsi la testa con le braccia ma non serviva a niente.
Accidenti a me! Sapessi almeno a cosa pensavo quando ho deciso di inoltrarmi in questo bosco per cercare di capire ancora meglio l’animo di Akoya. Eppure le previsioni avevano annunciato dei temporali!
Pioveva talmente forte che riusciva a vedere solo qualche metro davanti a sé. Le gocce fittissime creavano una specie di foschia e tutto aveva dei contorni indefiniti e surreali, quasi da sogno.

Se lo trovò di fronte all’improvviso e quasi gli andò a sbattere contro. Lasciò cadere la braccia lungo i fianchi e rimase immobile a guardare dentro quegli occhi che, nella poca luce che li circondava, sembravano quasi brillare.
“Signor… signor Hayami cosa ci fa qui?”
“Ti piace proprio inzupparti fino alle ossa, eh, ragazzina?” ribatté lui fissando lo sguardo sui suoi abiti grondanti. Maya arrossì di imbarazzo rendendosi improvvisamente conto che il leggero abito le aderiva al corpo come una seconda pelle. Quando però lui le strinse il braccio trascinandosela dietro fu percorsa da un brivido nuovo e sconosciuto: il calore della mano di lui era stato come una scossa elettrica. “Andiamo, è meglio cercare un posto dove ripararsi” continuava intanto Masumi.
Una saetta cadde improvvisamente a pochi metri da loro, poi un’altra e un’altra ancora. Prima ancora di rendersene conto si ritrovarono in mezzo ad una tempesta di fulmini. Il rumore era assordante e la luce li abbagliava.
“Via, via dagli alberi!” urlò l'uomo stringendo ancora più forte il braccio di Maya. “Dobbiamo andare via da questo bosco se non vogliamo finire arrosto”.
Improvvisamente Maya vide una grotta chiusa da una specie di porta. “Là, andiamo là” gridò, divincolando il braccio e iniziando a correre in quella direzione. Si gettò d’impeto contro le assi di legno che cedettero immediatamente sotto la sua spinta e si spalancarono facendola cadere in mezzo alla polvere. Masumi dietro di lei richiuse immediatamente la porta, vi si appoggiò con le spalle e si lasciò scivolare fino a sedersi a terra.
Per un attimo nessuno dei due parlò. La grotta era illuminata a tratti dalla tempesta di fulmini che ancora infuriava all’esterno.
Maya muovendosi carponi, con ancora il fiato grosso dovuto alla corsa, gli si avvicinò e, alzandosi in ginocchio davanti a lui, “Grazie, signor Hayami” disse.
Lui non rispose ma semplicemente l’afferrò per la vita e l’attirò a sé. “Maya” mormorò tra i suoi capelli.
Percepivano distintamente l’uno il corpo dell’altra, i vestiti bagnati una barriera troppo sottile per nasconderne il calore. Si scambiarono uno sguardo rapido e poi si tuffarono letteralmente l’uno sulle labbra dell’altra. Il primo, ma solo il primo, tocco fu timoroso, poi schiusero entrambi la bocca lasciando che le loro lingue si accarezzassero e intrecciassero in un gioco sempre più profondo.
“Maya” sussurrò ancora Masumi staccandosi dalla bocca di lei per scendere lungo la curva del mento e verso il collo.
Un fulmine più forte degli altri illuminò la grotta a giorno e loro furono costretti a separarsi. Qualcosa di sconosciuto, una forza incontrastabile li stava allontanando l’uno dall’altra. La luce diventava stranamente sempre più forte fino a che non furono costretti a chiudere gli occhi. Poi un buio salvifico li inghiottì.

Masumi aprì gli occhi e per un attimo non capì dove si trovasse. Maya. Si tirò su di scatto e si guardò intorno, ma era solo.
Sentì una voce provenire dall’esterno, ma non capì quello che diceva. Si alzò in piedi e con sgomento si accorse di essere nudo. Poi un urlo di donna lacerò l’aria. Si girò di scatto e vide una figura stagliarsi contro l’entrata della grotta. Il buio gli impediva di vederne il viso ma si accorse subito che era stata lei a gridare. Le si mosse incontro nel tentativo di rassicurarla, ma non fece in tempo a fare neppure due passi che un’altra figura gli si gettò addosso atterrandolo. Sentì qualcosa di freddo appoggiarsi alla sua gola e un ginocchio piantarglisi con forza sul petto.
Era pietrificato dallo shock.
La sua mente cercava disperatamente di dare un senso a tutto quello che stava succedendo, ma senza riuscirci.
Poi la grotta fu inondata di luce. Il cambiamento improvviso lo costrinse a chiudere gli occhi, e quando li riaprì si vide circondato da cinque o sei uomini con in mano delle fiaccole. Fiaccole? Alzò lo sguardo verso la figura che lo teneva inchiodato a terra e vide che si trattava di un ragazzo molto giovane e piuttosto magro. Teneva gli occhi fissi sul suo viso, dentro ai suoi. Che occhi stupefacenti, si scoprì a pensare.
“Maya”, disse Masumi. “Dov’è Maya?”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e scosse la testa, poi disse a sua volta alcune parole che Masumi non capì. Non sapeva neppure di che lingua potesse trattarsi. Conosceva e parlava più o meno bene diverse lingue ma quella non l’aveva proprio mai sentita.
“Dove sono?” chiese allora.
Di nuovo il ragazzo scosse la testa.
Masumi cercò di sollevarsi, ma la spinta del ginocchio si fece ancora più forte e una piccola puntura appena sotto al mento gli fece capire che anche la pressione del coltello che il ragazzo teneva in mano doveva essere aumentata. Pensò che forse per il momento avrebbe fatto meglio a rimanere fermo.
Il ragazzo continuava a guardarlo con quei suoi occhi incredibili e a parlare in quella lingua sconosciuta. La pressione del pugnale si allentò e lui mosse lievemente la testa nelle due direzioni ad intendere di non capire. Il ragazzo sbuffò e disse qualcosa ad uno degli uomini che li circondavano. Questi uscì di corsa e tornò quasi subito con in mano qualcosa che gli appoggiò accanto.
Il ragazzo finalmente si alzò e Masumi trasse due profondi respiri. Poi si mise a sedere guardandosi intorno. Maya!
Era circondato da cinque uomini vestiti in modo strano con ampie casacche colorate, pantaloni aderenti e alti stivali di cuoio. Tutti portavano un pugnale alla cintura e tutti avevano i capelli lunghi. Per ultimo guardò il ragazzo: anche lui era vestito come tutti gli altri, ma oltre al pugnale portava a tracolla un arco e l’elsa di una spada gli sbucava da dietro la spalla sinistra. Quello che più lo colpì, comunque, non fu tanto l’abbigliamento bizzarro quanto il particolarissimo colore dei loro occhi. Impossibile da definire. Verde grigio marrone azzurro viola. C’erano tutti i colori nelle loro iridi, ma nessuno preponderante sugli altri.
Con un cenno della testa il ragazzo gli indicò quello che a prima vista sembrava un mucchio di stracci. Masumi allungò la mano e ne prese un capo. Tirò e si accorse che si trattava della manica di una camicia. La svolse velocemente dal groviglio degli altri abiti e la indossò. Era pesante e ruvida sulla pelle. Niente a che vedere con il morbido cotone cui era abituato. Cercò ancora e trovò un paio di pantaloni. Aveva iniziato ad infilarli, quando alcuni degli uomini scoppiarono a ridere. Si guardò intorno interdetto. Tutti stavano sghignazzando. Cercò con gli occhi il ragazzo e questi, ridacchiando a sua volta, frugò con il piede in mezzo al mucchio e gli lanciò un paio di quelli che, a prima vista, sembravano mutandoni di lana. Una smorfia di disgusto gli fece storcere la bocca, ma li indossò comunque sotto ai pantaloni.
Cosa sta succedendo? Cosa sta succedendo? Dove sono?
La sua mente si ripeteva freneticamente quelle domande, mente due degli uomini lo sollevano da sotto le ascelle e lo conducevano fuori dalla grotta.
Una volta all’esterno lo fecero sedere con la schiena contro un albero e lo legarono al tronco con una spessa corda di canapa, quindi si allontanarono.
Sempre più confuso, Masumi lanciava tutt’attorno sguardi attoniti e interessati allo stesso tempo, sforzandosi di dare un senso a quello che lo circondava.
Il sole era appena tramontato e nelle ombre scure del crepuscolo vide diversi carrozzoni in legno, come quelli che nei film hollywoodiani facevano da casa agli zingari. Oltre agli uomini che aveva visto nella grotta c’erano anche qualche donna e alcuni bambini. Le donne erano vestite con ampie gonne colorate che arrivavano loro fino alla caviglia mentre il busto era stretto in aderenti corpetti neri chiusi da lunghe stringhe. I capelli scuri erano legati da fazzoletti anch’essi colorati. Tutti lo guardavano curiosi, parlottando tra loro. Al centro dell’accampamento era acceso un grande fuoco alla cui fiamma un grosso animale, infilzato su uno spiedo girato da due bimbi, si stava lentamente arrostendo. A quella vista lo stomaco di Masumi emise un brontolio piuttosto significativo. Suo malgrado, nonostante la confusione che gli regnava in testa, si trovò a sorridere di se stesso. Come è possibile che abbia fame in un momento del genere! Si soffermò un attimo ad analizzare le sue sensazioni e con sorpresa si accorse di non provare paura. Era più che altro preoccupato per la sorte di Maya. Al solo pensare il suo nome sentì lo stomaco contrarsi in una morsa penosissima e una sensazione molto simile al panico mozzargli il respiro. Per lei sì che aveva paura. Maya dove sei? Cosa ti è successo? Appoggiò la testa all’indietro contro il tronco e chiuse gli occhi.
Rimase a lungo in quella posizione fino a che non sentì un tocco leggero su una gamba. Aprì gli occhi e vide davanti a sé il ragazzo di prima con in mano una ciotola e un piatto. Gli si sedette di fronte e sguainata la spada se la appoggiò in grembo; quindi fece un cenno ad uno dei due uomini che erano rimasti di guardia a pochi passi e questi slegò la corda che lo avviluppava. Senza dire una parola il ragazzo gli porse la ciotola e il piatto. Masumi mangiò e bevve di gusto, sempre sotto lo sguardo attento del ragazzo. Quando ebbe finito la guardia tornò a legarlo e lui ancora una volta appoggiò la testa contro il tronco. Che cielo meraviglioso! pensò guardando oltre la cima degli alberi. Poi fu scosso da un brivido e ogni singolo muscolo del suo corpo si irrigidì. Questo non è il cielo di Tokyo! Non è il cielo che si vede da questo punto! Le stelle e le costellazioni sembravano essere le stesse, ma si vedevano con una chiarezza che in quella città non si percepiva più da forse centinaia di anni. Perché le stelle sono così luminose? Perché non sono offuscate dalle luci della città? e subito dopo Ma cosa vado a pensare? Cosa mi sta succedendo? Continuò a guardare le stelle fino a che non si addormentò.

Che cielo meraviglioso! pensò la ragazza mentre, con la fronte appoggiata contro il vetro della finestra, guardava in alto, oltre le merlature e le torri della fortezza dove era tenuta prigioniera, e una lacrima le scendeva lentamente sulla guancia.

Quando il mattino successivo Masumi si svegliò, scoprì che qualcuno gli aveva gettato addosso una coperta. Si guardò intorno. L’uomo che la sera prima lo aveva slegato era ancora di guardia a pochi passi da lui. Le spalle incurvate e l’espressine del volto ne tradivano la stanchezza, ma non appena si accorse che il prigioniero era sveglio lo sguardo si fece immediatamente vigile. Si scrutarono per un attimo negli occhi poi entrambi sorrisero brevemente.
Anche il resto del campo si stava lentamente svegliando. Una delle donne si avvicinò al fuoco e con gesti abili e svelti lo riattizzò in modo tale che immediatamente le fiamme tornarono ad alzarsi e spandere il loro calore tutt’intorno. Un altro paio di donne si avvicinarono con quelle che sembravano pagnotte da cuocere, mentre altre ancora arrivavano portando otri piene d’acqua. In breve fu servita a tutti, Masumi incluso, un’ottima colazione composta da pane, formaggio fresco e miele, il tutto accompagnato da acqua o latte, a seconda delle preferenze individuali.
Dopo colazione il campo fu smontato rapidamente e i carrozzoni si misero in cammino uno dietro l’altro. Masumi era stato accompagnato all’interno del più grande e fatto accomodare sopra grandi cuscini sparsi a terra.
Il ragazzo della sera prima era arrivato poco dopo e di nuovo gli si era seduto di fronte, questa volta senza la spada.
“Maya?”disse indicandolo con un dito.
“Dov’è?” chiese immediatamente Masumi.
“Maya?” ripete il ragazzo, questa volta appoggiandogli il dito sul petto.
“Masumi” rispose quest’ultimo, scuotendo la testa.
Il ragazzo sospirò, poi indicò se stesso e disse: “Anjin”. Quindi allungò la mano verso Masumi.
“Masumi”
“Ma-su-mi” ripeté il ragazzo.
Masumi annuì.
A quel punto Anjin, gli appoggiò le mani sulle tempie e iniziò a cantilenare una nenia. Immediatamente Masumi ebbe la sensazione che il suo essere, tutto ciò che lo caratterizzava come essere umano gli venisse strappato con la forza e un dolore lancinante gli attraversò la testa da parte a parte. Poi, così com’era cominciato, tutto finì.
Anjin, benché visibilmente provato, gli sorrise conciliante. Disse poche parole e le corde che legavano Masumi vennero sciolte.
Quello stesso giorno, quando la carovana si fermò per pranzare, Anjin gli presentò una ragazza di nome Mira che immediatamente iniziò a mostrargli gli oggetti di uso comune pronunciandone il nome nella propria lingua.
Trascorsero così alcuni giorni di viaggio. Masumi imparava rapidamente e alla fine della prima settimana era già capace di chiamare tutti gli oggetti di uso quotidiano. Era sempre attento e all’erta nel tentativo di capire il più possibile di quello che quelle strane persone dicevano. Si rendeva conto che solo imparandone almeno i rudimenti della lingua sarebbe stato in grado di chiedere loro informazioni su Maya. Con il passare dei giorni si era anche accorto che la sorveglianza era diminuita gradualmente fino a scomparire, né lui d’altro canto aveva nessuna intenzione di scappare o fare loro del male. Piano piano si stava facendo un’idea del luogo nel quale era capitato e anche se la sua razionalità si opponeva strenuamente alle risposte che cominciavano ad affiorare in lui, non riusciva a scorgere alternative valide, e comunque il suo pensiero dominante era trovare Maya e assicurarsi che stesse bene.
Dopo due settimane di viaggio arrivarono ad una città costruita sul fianco di una montagna. Lì la carovana si sciolse e Anjn, accompagnato da Mira e Masumi, prese alloggio in una bellissima villa appartenente ad un amico del ragazzo.
Un lungo bagno caldo e vestiti puliti e morbidi fecero in parte riappacificare Masumi con il mondo e quando, poco dopo, oltrepassò la soglia della sala da pranzo aveva abbandonato quell’espressione tormentata che lo aveva caratterizzato nei giorni precedenti. Il cambiamento sembrò non sfuggire a Mira che dopo averlo guardato a bocca aperta per qualche secondo abbassò la testa con le guance in fiamme. Masumi le si sedette accanto sorridendole, e lei farfugliò qualcosa in risposta, ma l’attenzione dello straniero era già stata attirata dalla discussione piuttosto accesa che stava avendo luogo tra Anjin e il padrone di casa.
Era troppo lontano per riuscire a cogliere le parole, ma credette di capire dagli sguardi che di tanto in tanto gli lanciavano di essere al centro di quel discorso. Forse non sono d’accordo sull’avermi condotto qui, rimuginò tra sé mentre si portava lentamente alle labbra una coppa di vino. Chissà chi sono? Dai carrozzoni sembravano zingari, ma tutto in questo palazzo parla invece di ricchezza. Improvvisamente il tonfo di una sedia caduta a terra lo riscosse dai suoi pensieri. Anjin si stava allontanando con un’espressione tutt’altro che amichevole dipinta sul volto. I suoi straordinari occhi multicolore si erano scuriti e sembravano due lastre di piombo.
Mira appoggiò una mano sul braccio di Masumi e gli fece cenno di seguire il ragazzo, poi entrambi si alzarono e lasciarono la stanza dopo aver salutato brevemente i presenti.
La giovane lo accompagnò fino alla porta della sua stanza. Masumi avrebbe voluto chiederle che cosa fosse appena successo, ma quando aprì la bocca per cercare di pronunciare almeno qualche parola, la ragazza gli appoggiò delicatamente un dito sulle labbra, lasciandovelo indugiare per qualche secondo, poi lo mosse lungo la guancia fino ad arrivare a sfiorargli i capelli. Gli occhi incollati a quelli di lui. Poi lentamente allontanò il braccio, si girò e riprese a percorrere il corridoio. Masumi la seguì con lo sguardo stupito e preoccupato fino a che non fu inghiottita dal buio.

Quella notte Masumi dormì male. Nei suoi sogni immagini di Maya e Mira si sovrapponevano; vedeva Maya che gli accarezzava il viso con la stessa dolcezza con cui l’aveva fatto l’altra ragazza. Nel dormiveglia ripercorse ogni sospiro del bacio che si erano scambiati, e la sua fantasia volò oltre immaginando cosa sarebbe successo se il mondo non si fosse improvvisamente capovolto. Per la prima volta da quando si era svegliato in quella grotta, si lasciò andare alla paura e allo sconforto. Le fantasie più nere invasero la sua mente e si ritrovò a chiedersi cosa avrebbe fatto se non l’avesse trovata, e a come fare per tornare nel suo mondo. Aveva odiato la sua vita di Tokyo, eppure adesso ne sentiva la mancanza. Quante volte aveva pensato che tutto ciò di cui aveva bisogno fosse un nuovo inizio lontano da suo padre, lontano dalla Daito, lontano dalla corruzione del mondo degli affari. Adesso invece avrebbe dato qualsiasi cosa per poter vestire di nuovo i suoi panni, per svegliarsi nel suo letto e riprendere la lotta di ogni giorno.
Poi c’era Maya.
Era andato a cercarla nel bosco quando aveva saputo che era uscita senza ombrello, come se a poche settimane dalla rappresentazione potesse permettersi di ammalarsi. Ma no, chi voleva prendere in giro? Era andato a cercarla perché voleva vederla, perché sperava di poterle parlare, perché non riusciva a togliersela dalla testa. Aveva bisogno della sua presenza, del suo sguardo che si posava su di lui, della sua voce… e quando lei gli si era avvicinata in quella grotta, la sua figura visibile solamente a tratti nella debole luce intermittente dei fulmini che penetrava dalle assi sconnesse, con i capelli appiccicati al viso e al collo e gli abiti incollati addosso, aveva visto davanti a sé una donna, la sua donna, e tutte le sue difese erano crollate in un solo attimo. L’aveva attirata a sé senza neppure pensarci, senza nient’altro in testa se non il desiderio di lei. E non aveva neppure avuto il tempo di stupirsi quando Maya lo aveva baciato. Non si era posto alcuna domanda; si era solamente abbandonato a lei, anima e corpo.
Adesso però si chiedeva che cosa fosse realmente successo. Quale significato avesse quel bacio. Se magari… se forse… possibile che anche lei provasse i suoi stessi sentimenti? In fondo era un’attrice, fingere era il suo mestiere, e se c’era riuscito lui per tanti anni, forse anche lei… Maya dove sei? Stai bene?
Dalla finestra aperta la luna piena illuminava la figura di un uomo che seduto sul bordo del letto con la testa tra le mani lasciava, per la prima volta da quando era bambino, libero sfogo alle lacrime che sentiva inondargli il cuore.

Aiutami! Aiutami ti prego! La ragazza si svegliò dal suo sonno agitato. Sapeva già che sarebbe stato impossibile riaddormentarsi. Era ormai più di una settimana che ogni notte veniva svegliata dallo stesso incubo. Si alzò dal letto e avvicinatasi alla finestra si soffermò a guardare la luna piena alta nel cielo. Dove sei? Dove sei mio salvatore?

Masumi era riuscito da poco a riaddormentarsi quando qualcuno bussò alla porta della sua camera. Ancora intontito dal sonno si alzò dal letto e andò ad aprire. Non appena Mira lo vide sgranò gli occhi e un rossore soffuso le inondò di nuovo le guance.
“Metti questi” disse porgendogli una pila di vestiti. “Ti aspettiamo in sala da pranzo” proseguì poi, mimando l’atto di mangiare. Dopo un’ultima occhiata ammirata si girò e chiuse la porta dietro di sé. Masumi si diresse verso il letto e stava già per sedersi e cominciare a vestirsi quando l’occhio gli cadde sullo specchio dalla cornice dorata che faceva bella mostra di sé in fondo alla stanza. Era nudo! Si era completamente dimenticato di essersi spogliato durante la notte perché i vestiti erano completamente zuppi di sudore. Oddio pensò.
Cercò di rinfrescare il viso accaldato con l’acqua del catino che era accanto alla finestra, e si vestì in fretta. Mira gli aveva portato un paio di pantaloni di pelle, una camicia bianca e un giustacuore anch’esso di pelle. Si guardò un attimo allo specchio prima di uscire e rimase colpito dal suo aspetto. Sembrava un cavaliere dei tempi antichi. I pantaloni aderenti mettevano in risalto le sue lunghe gambe muscolose, il giubbetto senza maniche sembrava rendere ancora più ampie le sue spalle e il candore della camicia illuminava i suoi capelli biondi. Gli occhi splendevano di una luce febbrile. Dopo la notte di riflessione e dolore era approdato ad una nuova determinazione. Doveva fare di tutto per trovare Maya.
Uscì dalla camera e si diresse a passo veloce verso la sala da pranzo. Quando entrò gli occhi dei presenti si posarono immediatamente su di lui. Un lampo passò tra Anjin e il suo amico, ma nessuno dei due proferì parola. Solo Mira gli si avvicinò e lo squadrò con i suoi occhi dal colore indefinibile.
“Ti preferivo prima” disse sorridendo.
Masumi arrossì e balbettò qualche parola di scuse, ma la sua conoscenza della lingua era troppo scarsa per poterlo assecondare. Uffa, devo fare qualcosa. Se non riesco a parlare con loro non potrò mai avere le informazioni che cerco. Devo imparare la loro lingua prima possibile.
Dopo colazione seguì gli altri in giardino ed era ancora perso nelle sue riflessioni quando Anjin gli si avvicinò e gli porse una spada del tutto simile a quella che lui stesso portava sulle spalle. Masumi lo guardò con occhi sbarrati mentre una miriade di pensieri gli si affollavano nella mente. Non vorrà mica sfidarmi a duello? Cosa ho fatto? L’ho offeso in qualche modo? Poi l’immagine di sé stesso nudo di fronte a Mira gli balzò improvvisamente agli occhi della memoria.
“È stato un incidente. Non l’ho fatto apposta. Non volevo…” disse mentre arretrava da Anjin facendo cenni negativi con le braccia e le mani. “Non voglio combattere contro di te”, continuava cercando di allontanarsi. “Mi uccideresti.” Deglutì. “Ed io non potrei più trovare Maya” concluse infine in un gemito spezzato guardando a terra.
Silenzio.
Masumi alzò la testa e vide che Anjin era ancora nella stessa posizione con il braccio allungato nell’atto di porgergli l’arma. Sulle sue labbra un sorriso. Girò gli occhi verso Mira e vide che anche lei lo stava guardando: la testa reclinata di lato e i bei tratti del viso atteggiati in un’espressione seria. Incrociarono lo sguardo per qualche secondo, poi lei si scosse mentre il solito sorriso tornava ad incresparle le labbra. Si avvicinò a Anjin e gli sussurrò qualche parola all’orecchio, poi prese la spada destinata a Masumi e attese che il ragazzo sfilasse quella che gli sbucava dalla spalla sinistra e gliela porgesse. Stringendo una lama per mano si avvicinò a Masumi e gliene allungò una. Solo allora Masumi si accorse che anche lei indossava un paio di pantaloni e un giustacuore in pelle come i suoi. I lunghi capelli neri che solitamente teneva sciolti sulle spalle erano legati stretti in una treccia. I suoi occhi e la sua espressione sembravano tranquilli.
Alla fine Masumi si arrese e prese la spada. Se la rigirò qualche secondo tra le mani per osservarla. Nonostante lo spessore della lama fosse non indifferente era comunque piuttosto leggera, inoltre una serie di scanalature ondulate ne percorrevano la lunghezza, trasformandosi in strani intrecci e disegni vicino all’elsa, la quale a sua volta presentava una guardia piuttosto ampia e un’impugnatura rivestita da strisce di pelle annerite dall’uso. Il pomolo, infine, rappresentava una spirale.
Ai tempi dell’università, durante un periodo all’estero, Masumi aveva preso qualche lezione di scherma, quindi non era completamente a digiuno delle nozioni fondamentali. Mosse le dita sull’impugnatura fino a trovare la stretta più comoda per lui, poi provò a fendere un paio di volte l’aria prima di mettersi in posizione. Anche Mira intanto si era messa in guardia.
Si guardavano con attenzione cercando di prevenire l’uno le mosse dell’altra, senza che nessuno dei due si risolvesse però di prendere l’iniziativa e attaccare. Poi improvvisamente Masumi decise che tanto valeva togliersi il pensiero e vedere subito che cosa quella gente avesse in mente. Si lanciò contro Mira tentando subito un affondo diretto al fianco sinistro, ma la ragazza fu svelta a pararlo e contrattaccò prendendo Masumi alla sprovvista e facendo arrivare la sua spada a un centimetro dal suo collo. Una goccia di sudore scese dalla tempia dello straniero. Mira si allontanò di alcuni passi e tornò a mettersi in posizione di attacco. Fu allora che Masumi capì. Vogliono che impari a usare la spada!
Anjin si avvicinò e tese la mano chiedendo l’arma. Masumi gliela porse e si allontanò di qualche passo, mentre il ragazzo si metteva a sua volta in guardia. Poi cercò lo sguardo di Masumi e con due dita della mano libera si indicò gli occhi, ad intendere di guardarlo attentamente. Ripeté lo stesso movimento che Masumi aveva fatto prima nell’attaccare Mira ma più lentamente, e lei rispose nello stesso modo, solo che quando il suo colpo si stava avvicinando al collo del compagno di allenamento, questi con un movimento del busto e della spalla si tolse dalla traiettoria e fermò la lama della ragazza con la propria.
Masumi annuì e si avvicinò ai due. Anjin tornò a dargli la spada e l’allenamento riprese. Mira era molto veloce, e anche se i suoi colpi non erano particolarmente violenti, in breve la spalla e il braccio di Masumi furono completamente intorpiditi. Tuttavia non si arrese. Andarono avanti per delle ore, fino a che non si trovò in ginocchio, ansimante, chinato sulla spada conficcata nel terreno davanti a lui.
Mira gli porse la mano e lo aiutò a rialzarsi, rivolgendogli un sorriso smagliante. Masumi ricambiò un po’ mesto: non andava certo fiero di essere stato stracciato per ore da una donna in un’arte tipicamente maschile.
Rientrato nella sua stanza trovò ad attenderlo una tinozza piena di invitante acqua calda. Si spogliò e si immerse, lasciando che il piacevole calore gli sciogliesse i muscoli indolenziti. Cosa vogliono da me? Perché si stanno dando tutta questa pena per insegnarmi a combattere? Non credo che sia solo per gentilezza verso gli stranieri… E perché ieri sera hanno quasi litigato parlando di me?C’è qualcosa che mi sfugge… Si alzò e si avvolse attorno ai fianchi uno dei teli che erano stati lasciati su uno sgabello lì vicino, quindi si recò sul balcone. Appoggiò le mani sul parapetto e fissò gli occhi sul cielo limpido. Maya!

“Allora? Hai deciso se accettare la mia proposta?
“No” disse la ragazza con voce ferma. “Non accetto”.
L’uomo strinse il pugno e contrasse la mascella cercando di controllare la rabbia.
“Hai ancora tre settimane di tempo per cambiare idea. Poi volente o nolente dovrai fare quello che ti ordinerò, a costo di costringerti con le maniere forti. E sai bene cosa intendo!” disse ancora l’uomo mentre un sorriso cattivo gli si dipingeva sul volto.
La ragazza abbassò la testa.

Nei giorni seguenti Masumi si impegnò con tutto se stesso negli allenamenti e grazie ai preziosi insegnamento di Anjin e alla sua caparbietà i miglioramenti non si fecero attendere. Ogni sera sedeva a tavola con i padroni di casa e i loro ospiti e ogni sera ascoltava attentamente ogni parola che veniva pronunciata, fino a che piano piano, anche grazie all’aiuto l’aiuto di Mira, cominciò a capire il senso generale delle conversazioni. Soprattutto iniziò a chiarirsi dentro di lui il motivo della sua presenza in quel luogo e quello della presenza di Maya, e divenne ancora più urgente e disperato il bisogno di ritrovarla al più presto. Prima che fosse troppo tardi.

“Sono sicuro che cercherà di operare il rito alla prossima luna piena”.
“Anche secondo me. Sempre che sia vero che la sacerdotessa è nelle sue mani ormai. Non avrebbe senso indugiare oltre, con il rischio di un attacco”.
“Sicuramente si aspetta che facciamo qualcosa”.
“L’importante è riuscire a mantenere segreta l’esistenza del dytiewth. È stata una fortuna averlo trovato prima che gli succedesse qualcosa”.
“Nessuna fortuna. La profezia ci ha guidati”.
“Partiremo domani mattina a cavallo. Mancano meno di due settimane al prossimo plenilunio. Non possiamo arrivare in ritardo”.

Masumi aveva seguito la conversazione con attenzione.
“Cos’è un dytiewth?” chiese a Mira.
La ragazza lo guardò attentamente e poi scosse la testa, mentre un leggero sorriso le increspava le labbra.
“Non mi ero resa conto che tu fossi migliorato così tanto. Ormai sei in grado di capire quasi tutto quello che diciamo”.
“Grazie” rispose serio Masumi. “Ma non mi hai risposto”.
“Non sta a me farlo”.
“E allora a chi?”
“Al re. Ad Anjin”. Masumi la guardò con gli occhi sbarrati e rimase per qualche secondo con la bocca aperta per lo stupore. “Chiudila o ci entreranno le mosche”, lo prese in giro Mira.
“Anjin è il re?” riuscì finalmente a dire. “Intendi proprio il re il re? Quello che comanda?”
“Sì, proprio quello” rispose la ragazza trattenendo a stento un sorriso. “È molto giovane lo so, e lo sa anche lui, ma purtroppo è andata così”. Rivolse al ragazzo che continuava a parlare a capotavola uno sguardo tra il triste e il rassegnato. “Anche se non sarebbe dovuta andare così”, concluse a bassa voce come parlando a se stessa. Quindi si alzò e andò a dirgli qualcosa all’orecchio. Anjin annuì e rispose brevemente, poi mentre lei stava risollevandosi per tornare al suo posto le prese delicatamente una mano e la strinse. Durò poco più di un attimo e nessuno se ne accorse tranne Masumi. Mira si voltò, fece un respiro profondo e tornò a sedersi al suo posto.
“Nella tua camera. Subito dopo cena.”
“Grazie” rispose Masumi. Avrebbe voluto aggiungere dell’altro ma non ne ebbe il coraggio.
Mira era una ragazza bella e solare. Sempre allegra e pronta a scherzare, non si tirava mai indietro quando c’era bisogno del suo aiuto. Aveva accettato di prendersi in carico “l’istruzione” dello straniero e aveva svolto il suo compito alla perfezione: suo era gran parte del merito per i suoi rapidi progressi nell’apprendimento della lingua. Trovava piacevole la sua compagnia e quando erano insieme riusciva se non a dimenticare, almeno a controllare l’angoscia e la paura che lo assillavano continuamente. Non voleva contrariarla con domande inopportune.

Partirono all’alba del mattino successivo e cavalcarono per tutto il giorno. Al tramonto si accamparono e, con immenso stupore e scoramento di Masumi che aveva praticamente ogni muscolo del corpo dolorante a causa dell’inusuale esercizio fisico, Anjin lo costrinse ad un allenamento con la spada di quasi due ore. Alla fine si sedette a fissare il fuoco con una coperta sulle spalle per cercare di ripararsi dall’aria fredda della notte, e inevitabilmente il pensiero gli tornò alla conversazione avuta con il ragazzo - faceva molta fatica a pensarlo come un re - la sera prima.
Quello che gli era stato raccontato lo aveva lasciato completamente di stucco, in preda ad un terrore come mai ne aveva provato in tutta la sua vita. Se da una parte gli aveva chiarito una volta per tutte il ruolo suo e di Maya in quella vicenda, dall’altra aveva aperto la porta a tanti di quei dubbi che, aveva l’impressione, non sarebbe mai più stato capace di pensare lucidamente.
C’era sì una profezia, oscura e incompleta, come da copione. Masumi sorrise a questo pensiero. Come da copione. Qual era la realtà e quale la fantasia? Aveva veramente l’impressione di vivere dentro un film o un romanzo d’appendice. La profezia diceva che una fanciulla capace di entrare in contatto con gli elementi, una sacerdotessa scarlatta in grado di evocare i quattro spiriti della natura, guidata da un principe rinnegato avrebbe portato la rovina su tutti e su tutto se lo straniero non avesse fermato la sua mano. Lui era il dytiewth, lo straniero purificatore. I suoi occhi color del cielo erano la prova evidente della sua non appartenenza a quel popolo. E Maya doveva essere la sacerdotessa scarlatta.
Non lo aveva detto ad Anjin. Non sapeva come fare. Aveva solo raccontato di provenire da molto lontano, di star viaggiando e di essere stato aggredito e derubato di ogni cosa, vestiti inclusi. Come da copione. Un pessimo copione per niente originale, ma non gli era venuto in mente niente di meglio.
Seduto per terra con le gambe incrociate Masumi continuava a guardare il fuoco e a cercare una soluzione. Una spiegazione più razionale di quella che la situazione continuava a riproporgli.
“A cosa stai pensando?”
Alzò lo sguardo e vide Mira in piedi accanto a sé.
“Alla mia vita”, rispose semplicemente prendendo da terra un ramo e gettandolo nel fuoco.
“Bene, ci penserai mentre ti metto un po’ di questa”, disse la ragazza mostrandogli una specie di barattolo, “spogliati dalla vita in su e poi sdraiati a terra a pancia sotto”.
Masumi le lanciò un’occhiata sospettosa ma fece quanto richiesto. Mira gli si inginocchiò accanto e cominciò a spalmargli delicatamente un olio caldo sulle spalle. Il suo tocco era leggero e piacevole.
“Questo ti aiuterà a sciogliere i muscoli, così domani potrai salire ancora a cavallo” disse dolcemente. Masumi, la testa appoggiata sulle braccia iniziò piano piano a rilassarsi e a godersi quel massaggio inaspettato. “Allora, cosa stavi dicendo a proposito della tua vita?” gli chiese Mira dopo un po’.
“La mia vita... mi chiedevo che cosa ne ho fatto finora della mia vita. E a quello succederà d’ora in poi. Nel mio paese ero un uomo potente, rispettato, ammirato e, forse, anche invidiato. Eppure nonostante il successo non ero felice. Sempre ammesso che la felicità esista e non sia solo un’illusione creata dai poeti. Mi mancava qualcosa. Le mie giornate trascorrevano tutte uguali, tutte ugualmente frenetiche e...vuote. Ci ho messo molto a rendermene conto, anni, ma la mia anima stava lentamente spegnendosi. Ero indifferente a tutto, alle persone, ai sentimenti, persino a ciò che era bene e ciò che era male. Niente mi toccava in profondità e tutto mi scivolava addosso. Fino a che...”
“... non ti sei innamorato” lo interruppe Mira.
Masumi alzò la testa per guardarla.
“Come lo sai?”
“So riconoscere gli occhi di un uomo innamorato. Conosco l’amore” disse con un sorriso triste.
“Anjin?” disse Masumi ripensando alla sua espressione della sera prima.
Mira si limitò ad annuire.
“Rimetti giù la testa. Conosco Anjin da diversi anni ormai e credo di essermene innamorata subito, ma lui era un principe, il secondo in linea di successione. Per quanto tra il nostro popolo non esistano differenze di classe, ci sono comunque delle regole da rispettare e spesso i matrimoni della famiglia reale sono il risultato di accordi commerciali o giochi di potere”.
Questa volta fu Masumi a sorridere, “Ne so qualcosa”.
“Non ho mai rivelato i miei sentimenti ad Anjin. Io so bene, fin troppo bene, che non potrà mai esserci un futuro per noi”.
“Come fai ad esserne sicura?”
“È così e basta. E lo sa anche lui. Ogni tanto sai, mi viene il sospetto che anch’io sia importante per lui. A volte mi sembra di leggere anche nel suo sguardo la stessa tristezza che sento nel mio cuore. Altre lo scopro a guardarmi quasi di nascosto, serio e preoccupato; e riesco a vedere la battaglia che sta infuriando dentro di lui tra desiderio e dovere.
“Sì però non dovresti... rinunciare... rinunciare... così facilmente”. Nascose la testa tra le braccia incrociate. “Dio mio, ma cosa sto dicendo? Io, io che mi permetto di dare consigli su come comportarsi in amore. Ma chi voglio prendere in giro? Mi faccio ridere da solo”, disse in un sussurro.
“Ma la vita va avanti, vero Masumi?” continuò Mira con voce stanca, ignorando le parole che lui aveva appena pronunciato.
“Sì, anche se è impossibile ingannare se stessi fino alla fine”.
“La vita deve andare avanti” disse ancora la ragazza avvicinando le labbra alla sua schiena nuda e cominciando a baciarla delicatamente.
Masumi si irrigidì sotto il tocco leggero delle labbra di lei, poi si sollevò su un gomito e le sfiorò una guancia con la mano. Ne percorse con la punta delle dita il profilo fino al mento e lungo la curva del collo fermandosi poi sulla spalla. Mira ebbe un brivido.
“Non è una buona idea”, disse infine con voce roca. “Non servirebbe né a te né a me. Fidati. Te ne farebbe solo sentire ancora di più la mancanza”. Le sfiorò delicatamente le labbra con un bacio leggero. “La ragazza... la donna che amo mi ha stregato fin dalla prima volta che l’ho vista. Era ancora una bambina all’epoca, non aveva niente che potesse attirare l’attenzione di un uomo, soprattutto quella di un uomo sempre circondato da altre donne bellissime. Eppure mi è entrata dentro fin da subito e posso affermare senza ombra di dubbio che non ne uscirà più. Forse non potremo mai stare insieme, forse continuerà ad odiarmi per il resto della sua vita, forse potrei non vederla mai più, ma, qualunque cosa accada, sarà sempre nel mio cuore. Il suo ricordo circolerà dentro di me insieme al sangue e lo respirerò ad ogni boccata di ossigeno. Io ero un uomo adulto e potente e lei una semplice ragazzina eppure la sua magia, adesso so che si trattava di magia, mi ha imprigionato per sempre. Per sempre. Ho cercato anche io di andare avanti con la mia vita, ho fatto di tutto per innamorarmi di qualcun’altra, ma non è stato possibile. Credo che ci siano persone al mondo che si innamorano tante volte e persone che invece amano una volta sola. Non discuto sulla qualità dell’amore, ci sono tanti tipi di amore quanti sono i cuori che lo provano, ma io sono una di quelle persone che amano per la vita”.
Mira intanto si era seduta con le ginocchia strette al petto e lo sguardo fisso sul fuoco. Masumi le si mise accanto e coprì le spalle di entrambi con la coperta.
“La vita qui mi sta cambiando. Si sta trasformando la mia visione del mondo e sto cominciando a capire gli errori che ho fatto. Primo tra tutti l’essermi lasciato sopraffare dalla paura. Avevo paura che lei potesse allontanarmi, rifiutarmi, persino deridermi. Ho lasciato che la paura mi paralizzasse, mi sono comportato da ragazzino, no, neanche da ragazzino, a dire la verità, perché anche i ragazzini hanno più coraggio di me” disse con ancora più amarezza, ripensando a Sakurakojii. “Ho passato anni interi a rimuginare sulle differenze tra noi due: età, esperienze, posizione, e mai una volta, mai una volta ho pensato a cosa ci unisse. Troppo preso dal mio ruolo di protettore, non mi sono mai curato di cercare di capirla, di farmi conoscere per quello che sono, per quello che la sua vicinanza mi faceva diventare. Lo sai, Mira, cosa significhi stare accanto ad una persona e sentirsi in pace con se stessi? Sentire che solo in sua compagnia la tua anima è libera? Sentire ogni fibra del tuo corpo cantare dimentica di tutto e tutti? Sentirti a casa? Ecco, era così stare vicino a lei. Mi sentivo a casa. Ed ero felice. È magia questa, Mira? Io credo di sì”.
La ragazza non rispose ma continuò a fissare il fuoco, assorta. Masumi rimase qualche secondo in silenzio poi continuò.
“Sai, nel... paese dal quale provengo la magia non esiste e non crediamo neppure negli spiriti e nelle forze rigeneratrici della natura. Da noi gli uomini pensano al guadagno, al benessere e credono solo in ciò che si vede. Non hai idea di quanto suoni strano e inverosimile alle mie orecchie sentir parlare di rituali, di forze elementali, di profezie. Eppure mi sto piano piano rendendo conto queste cose ci sono anche da noi, solo che le abbiamo dimenticate. Maya le stava riscoprendo, forse è questa la ragione che ci ha portato qui, il motivo della sua scomparsa”.
Mira alzò la testa di scatto.
“Cosa vuoi dire?”
“Credo che in fondo tutto sia collegato. La sua scomparsa, la mia ricerca, il nostro incontro. Io... non ho mai pensato a me stesso come ad un salvatore, come ad un eroe, eppure se voglio provare a salvarla dovrò diventarlo e questo mi sta facendo vedere molte cose da una prospettiva diversa”.
“Un eroe. Cos’è in fondo un eroe, se non un uomo con un grande sogno da realizzare e la volontà di farlo?” disse Mira voltandosi a guardarlo negli occhi. “Non si deve per forza combattere o uccidere per essere eroi. Basta credere fino in fondo in quello che si vuole e fare di tutto per ottenerlo, lasciando dietro di sé le paure e i dubbi”. Sorrise. “Grazie Masumi. Grazie per non aver approfittato della mia debolezza e grazie per avermi fatto riflettere”.
Si alzò e si allontanò lasciandolo seduto accanto al fuoco, perso nei ricordi e nei sogni.

Proseguirono con lo stesso ritmo per diversi giorni, attraversando foreste, pianure, passi montani. Partivano non appena faceva giorno e si fermavano solo al tramonto. Tutte le sere Masumi si allenava con Anjin, e tutte le sere veniva irrimediabilmente battuto. Eppure non si scoraggiava e continuava a provare e riprovare. Maya era tutto quello che aveva e salvarla il suo unico scopo.

Al decimo giorno di viaggio si fermarono a metà pomeriggio nei pressi di un villaggio che sorgeva a poca distanza da un imponente castello. Erano nascosti nel granaio di una fattoria quando Anjin li fece sedere tutti attorno a sé e iniziò ad illustrare il suo piano.
“Entreremo dentro le mura domani con l’aiuto di alcuni contadini che vi si recano per portare i rifornimenti di verdura e selvaggina. Una volta all’interno ci riuniremo nella cantina del maniscalco, che è uno dei nostri, e da lì entreremo nel castello attraverso un passaggio che spero sia ancora aperto e agibile. Avremo tre giorni”. Guardò tutti negli occhi, uno ad uno, poi riprese: “Inutile dire che dovremo stare attenti e che la priorità assoluta è quella di proteggere Masumi. Il destino di tutti noi è nelle sue mani, e per quanto sia migliorato in queste ultime settimane, la sua tecnica non gli permetterebbe certo di uscire vivo da uno scontro con le guardie”. Poi rivolgendosi direttamente a Masumi: “Ho voluto che tu fossi addestrato per saperti difendere almeno un po’, magari nell’attesa che qualcuno di noi venga in tuo aiuto. Quello che ti chiedo è di non fare sciocchezze e di cercare in tutti i modi di restare vivo fino a quando non sarai di fronte alla sacerdotessa. Poi dovrai interrompere il rito, uccidendola se necessario”.
“Cosa...” iniziò a dire Masumi.
“Sempre ammesso che sia strettamente necessario”, lo interruppe Mira. “Credo che prenderla viva sarebbe meglio”.
Masumi la guardò e annuì. Aveva capito che la ragazza gli stava dicendo di non discutere.

Il mattino successivo riuscirono senza problemi ad entrare all’interno delle mura (Masumi faceva finta di dormire all’interno di un carro) e seguendo il piano si riunirono nella cantina della fucina.
Nei due giorni seguenti, a turno, alcuni degli uomini uscirono per cercare informazioni riguardo al numero delle guardie e a dove avrebbe avuto luogo esattamente la cerimonia.
Masumi dal canto suo rimase tutto il tempo in disparte a cercare di trovare il coraggio necessario per affrontare l’imminente battaglia e soprattutto a escogitare un modo per poter scappare con Maya. Magari, e lo sperava con tutto se stesso, magari sarebbero potuti tornare al loro mondo. Magari Maya avrebbe saputo sfruttare i poteri degli spiriti elementali per riportarli a casa. A dire la verità tutti i suoi piani si basavano su questa flebile speranza. Aspettava con impazienza il momento dell’azione, e se da un lato era spaventatissimo, dall’altro era impaziente di rivederla, di assicurarsi che stesse bene, di poterla di nuovo stringere tra le braccia. E questa volta non l’avrebbe lasciata andare. Mai più. Tornò a vivere nella memoria, per l’ennesima volta, il bacio che si erano scambiati prima che venissero, chissà come e perché, trasportati in quel luogo.

Alla fine il momento arrivò.
Anjin guidò Masumi, Mira e i cinque uomini che lo avevano “accolto” quel primo giorno nella grotta all’interno del palazzo, attraverso scale secondarie e passaggi segreti. Il rito si sarebbe svolto in una sala sormontata da una cupola di cristallo per far in modo che i raggi della luna illuminassero perfettamente l’altare. Purtroppo nessuno dei passaggi segreti portava direttamente a quella stanza e il gruppo fu costretto a uscire allo scoperto. Stavano percorrendo un corridoio, cercando di mimetizzarsi il più possibile nell’ombra, quando furono scoperti da due guardie. Immediatamente Anjin e uno dei suoi uomini furono loro addosso, ma prima di venir uccise quelle fecero in tempo a dare l’allarme e chiamarne altre. In un attimo il gruppo fu circondato e fu solo grazie all’abilità dei suoi compagni con la spada se poterono comunque procedere verso la loro destinazione. Anche Masumi fu attaccato più volte, riuscendo a difendersi, ma senza l’aiuto degli altri sarebbe caduto quasi subito. Tra tutti si distinguevano Mira e Anjin che combattevano proteggendosi le spalle a vicenda in perfetta sintonia. Finalmente dopo quella che gli sembrò un’infinità di tempo riuscirono ad arrivare alla porta della sala dove si stava svolgendo il rito, eliminarono in fretta le sentinelle e la spalancarono.
Masumi si trovò di fronte ad una scena che non si sarebbe mai aspettato e gli occhi gli si dilatarono dall’orrore.
Sopra ad un altare posto al centro della stanza era inginocchiata una ragazza dai lunghi capelli castani. Si agitava frenetica e urlava tutta la sua disperazione. A pochi passi da lei, a terra, un uomo con indosso un lungo mantello nero agitava le mani in aria e cantilenava incessantemente una nenia.
“Fratello!” urlò allora Anjin.
L’uomo alzò lo sguardo su di lui, senza tuttavia smettere di pronunciare il suo incantesimo. Un sorriso freddo gli increspava le labbra. Il volto identico a quello del ragazzo, solo un po’ più vecchio.
Intanto Masumi si era avvicinato all’altare e osservava la ragazza. Aveva il viso coperto dai capelli arruffati, ma quello che catturò immediatamente le sua attenzione fu l’immagine di una rosa scarlatta tatuata sul suo corpo nudo. Una rosa perfetta che dal ventre saliva fino a sbocciarle sui seni. Maya cosa ti hanno fatto? Improvvisamente la ragazza smise di urlare e si chinò verso terra, raccolse un pugnale e se lo appoggiò sul cuore, proprio al centro della rosa.
“Nooooo!” urlò Masumi e si lanciò verso di lei, mentre i suoi amici erano di nuovo impegnati a combattere contro le nuove guardie che nel frattempo erano arrivate. Le afferrò il polso e lo girò, ma nell’impeto della rincorsa inciampò contro la base dell’altare e finì sulla traiettoria della lama. L’ultima cosa che vide prima che il buio gli piombasse addosso furono gli occhi multicolori della ragazza spalancati su di lui.

***
Subito dopo essere entrato nella sala a Masumi era successa una cosa strana: improvvisamente si era ritrovato come sdoppiato. Da una parte sentiva e muoveva il suo corpo come al solito ma dall’altra assisteva alla scena che si stava svolgendo da un punto di vista esterno e superiore. Vide i suoi compagni muoversi e lottare contro le guardie e vide se stesso immobile vicino all’altare, paralizzato dalla sorpresa e dal dubbio. Sentì Anjin urlare “Fratello!” rivolto all’uomo vestito di nero che lo guardò con un sorriso cattivo, ma non interruppe l’incantesimo che stava facendo urlare di dolore la ragazza sull’altare. Vide il giovane re lanciarsi contro il fratello e colpirlo con la spada. Vide Mira venire ferita al fianco e urlare al se stesso ancora fermo a guardare la ragazza: “Fermala altrimenti si toglierà la vita per sfuggire al dolore e l’incantesimo sarà completo”. La vide girarsi a cercare Anjin con lo sguardo e poi cadere in ginocchio. Vide il ragazzo strappare qualcosa dal collo del fratello svenuto, o forse morto, a terra e correre al fianco di Mira. Soprattutto vide se stesso afferrare il polso della ragazza sull’altare e finire lui stesso sul pugnale che questa stringeva in mano. Vide e sentì la lama penetrare nel suo petto, proprio nel momento in cui si accorgeva che gli occhi della fanciulla non erano quelli marroni della sua Maya. Poi il buio.

Maya!
Maya!

Avrebbe voluto svegliarsi, ma sentiva che qualcosa lo tratteneva lì, nell’oscurità.
... io sono una di quelle persone che amano per la vita... un eroe... un grande sogno da realizzare e la volontà di farlo... credere fino in fondo in quello che si vuole e fare di tutto per ottenerlo... dietro di sé le paure e i dubbi... Frammenti di frasi e conversazioni echeggiavano e si rincorrevano dentro alla sua testa impedendogli di concentrarsi. C’è qualcosa di importante che dovrei ricordare, ma tutto è così confuso... Maya! Ti ho già spedito le tue rose, oggi? Le rose scarlatte... che bella rosa... sulla pelle... sul tuo ventre, sui tuoi seni... Maya! Maya? I tuoi occhi... NOOOOOOO!
Aprì gli occhi di scatto. Il respiro affannoso e un tremore diffuso per tutto il corpo.
Rimase qualche secondo a fissare il buio, poi fu scosso da un brivido di freddo. Cercò la coperta e si raggomitolò su se stesso, chiudendo gli occhi. La mente ancora confusa e incapace di formulare pensieri coerenti. Quanti giorni? Quante notti ancora avrebbe dovuto sopportare quegli incubi? Sentiva il cuore battergli impazzito dentro al petto. Un altro po’ e sarebbe scoppiato.
No, non sarebbe riuscito a riprendere sonno.
Si alzò cercando di fare meno rumore possibile. Gettò appena uno sguardo alla donna che dormiva tranquilla avvolta nelle lenzuola preziose, si vestì al buio, e lasciò la stanza con un sospiro.
Uscì in giardino e si accorse che il cielo era coperto da spesse nubi temporalesche. Tra poco avrebbe cominciato a piovere. Si appoggiò ad una colonna del portico e prese un respiro profondo. Non riusciva proprio a dimenticare quelle scene: la ragazza dai lunghi capelli castani e la rosa scarlatta che aveva tatuata sul corpo. D’istinto si portò una mano vicino al cuore, là dove il pugnale lo aveva trafitto. Un colpo quasi mortale, se solo... Scosse la testa e scese i pochi gradini che conducevano nel giardino. Sì, tra poco avrebbe cominciato a piovere. Senza sapere perché si diresse verso il cancello e uscì nella città. Camminò a lungo per le strade quasi deserte. Era ancora notte fonda e solo qualche ubriaco o qualche altro disperato come lui osavano affrontare la pioggia che nel frattempo aveva cominciato a cadere con violenza.
Un sogno da realizzare e la volontà di farlo, senza paure e senza dubbi... quelle parole continuavano a riecheggiargli dentro la testa, ad ondeggiargli davanti agli occhi e, gli sembrava, persino a scavargli il cuore.
Piano piano la luce rosea dell’alba cominciò a schiarire lo strato di nubi e le strade inondate dalla foschia della pioggia battente presero una tonalità grigiastra e triste.
Masumi continuava a camminare, incurante dei abiti ormai zuppi e dei capelli appiccicati al viso. Incurante dei rivoli d’acqua che gli scendevano lungo il corpo e dei brividi di freddo che lo scuotevano. Forse però, non è freddo. Forse è solo disperazione.
Senza volerlo si ritrovò al limitare del bosco. Quanti boschi aveva attraversato di recente? Boschi veri e boschi immaginari. Boschi oscuri e boschi che promettevano pace.
Vide uno sperone di roccia sporgente poco lontano e vi sedette sotto. La schiena appoggiata alla parete, una gamba allungata davanti a sé e l’altra piegata a sorreggergli il braccio. Lo sguardo fisso sui profili indistinti degli alberi.
... un sogno da realizzare e la volontà di farlo. Di nuovo si perse nel significato di quelle parole. Appoggiò la testa sul braccio e chiuse gli occhi lasciando che la pioggia gli lavasse l’anima, che la ripulisse dalle brutture e dai segni lasciati dai compromessi che aveva dovuto accettare durante tutta la sua vita. Alla fine di quel temporale sarebbe rinato uomo nuovo in un mondo, per lui, sconosciuto.
Rimase per un po’ di tempo fermo, a pensare e ad ascoltare il suono ovattato della pioggia, poi cominciò a parlarle come se gli fosse veramente accanto, forse per liberarsi la coscienza o forse, chissà, immaginando la prova generale dello spettacolo che oramai non avrebbe più potuto evitare di mettere in scena.
“Ti ho sognata questa notte, sai ragazzina? Ho sognato di stringerti a me, di assaporare di nuovo le tue labbra, di sentire il tuo calore fondersi al mio e le tue mani sul mio viso. Dio, come vorrei poter stare fermo ad occhi chiusi e sentire le tue dita sfiorare la mia pelle, sentirle appianare una ad una le rughe sulla mia fronte, percorrere la linea degli zigomi, scendere ad accarezzarmi il petto, il ventre…
Tu sai cosa significa anelare di perdersi, ragazzina? Annullarsi al solo scopo di arrivare a soddisfare un desiderio che sai già essere irrealizzabile? Io… ti ho desiderata così tanto da non poterne più. Così tanto da arrivare al punto di cercarti nel corpo di un’altra donna. Sì, ragazzina, sono arrivato a tradire l’amore immenso che nutro per te. Ho cercato di spegnere su una pelle sconosciuta il fuoco che altrimenti sentivo mi avrebbe divorato. E la cosa al tempo stesso tragica e comica è che non è servito a niente, perché anche mentre stringevo tra la braccia quel corpo caldo e generoso erano i tuoi sospiri e i tuoi gemiti quelli che avrei voluto sentire, era a te che immaginavo di dare piacere.
La verità, ragazzina, è che sono un vigliacco. Fin dalla prima volta che mi sono accorto di essere rimasto affascinato dalla tua passione e dal tuo coraggio, da te, mi sono nascosto dietro ad un mazzo di rose e non sono più stato capace di mostrarti il mio vero volto. Certo, ci sono mille scuse: è stato grazie all’amore per te che mi sono messo in discussione e ho scoperto che il mio cuore non era congelato come credevo, anzi no, come avrei voluto. È stato per il tuo bene, per la tua carriera di attrice, se ti ho fatto vedere solo il peggio di me, solo l’aspetto più meschino e vile. Eppure le parole di quella ragazza, Mira, continuano a rimbalzarmi nella testa: dimenticare le paure e i dubbi. Io ho mai accantonato la paura e i dubbi quando si trattava di te e di me? No, ragazzina, non l’ho mai fatto. La paura, no il terrore, che tu potessi rifiutarmi mi ha legato la lingua e incatenato ad una sofferenza che in molti casi ha sfiorato il masochismo.
Ma è bastato solo immaginare di averti perduta per sempre per capire, finalmente.
Ho capito che l’unica strada che può portarmi da qualche parte è quella che ho sempre evitato, quella che porta a lottare a carte scoperte per te.
Ti ho fatto del male, Maya, in modi che non avrei mai creduto possibili, ma adesso sono qui con il cuore in mano a chiederti di perdonarmi. Non di amarmi, ma di cancellare il passato e ricominciare. E poi… poi prenderò quello che verrà ”.

Il boato di un tuono esplose all’improvviso, facendolo sussultare. Aprì gli occhi e se la vide di fronte.
Lei piegò la testa di lato e continuò a guardarlo senza parlare. Era completamente fradicia, e bella come non l’aveva mai vista.
Masumi le tese una mano, lei l’afferrò e si lasciò tirare contro di lui. Su di lui.
“Ti piace proprio inzupparti fino alle ossa, eh ragazzina?”
“Chi è Mira?”
“... lo spirito di un sogno rivelatore”.
Maya lo guardò senza capire. “Però la smetta di chiamarmi ragazzina, Signor Hayami”.

FINE
:oops:
Ultima modifica di claudia il 08/12/2010, 18:41, modificato 3 volte in totale.
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Re: UN ALTRO MONDO V.M. 14 anni

Messaggiodi Tremalnaik » 17/11/2010, 19:21

Bello, mi è piaciuto :!: Non ho capito però se sono tornati al loro mondo oppure no :?:
Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza.
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Re: UN ALTRO MONDO V.M. 14 anni

Messaggiodi claudia » 22/11/2010, 15:32

Tremalnaik ha scritto:Bello, mi è piaciuto :!: Non ho capito però se sono tornati al loro mondo oppure no :?:


Trattandosi di un sogno diri di sì.
L'ultima parte si svolge tutta nel mondo reale.
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Re: UN ALTRO MONDO V.M. 14 anni

Messaggiodi gio » 22/11/2010, 17:30

Claudia, grazie per la condivisione, so che 'esporti' ti costa e quindi apprezzo ancor di più il regalo che ci hai fatto! :-P
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