FAVOLA
Una volta un Re mandò fuori quest'editto:
Chi sarà buono di fabbricare una barca che va per mare e per terra avrà mia figlia in sposa.
In quel paese ci stava un padre di tre figli, e tutto quel che possedeva era un cavallo, un asino e un porchetto. Inteso l'edítto, il figlio maggiore disse al padre:
- Papà, vendi il cavallo, e coi soldi del cavallo comprami i ferri per fabbricare barche, e coi ferri per fabbricare barche, fabbricherò una barca che va per mare e per terra e sposerò la figlia del Re.
Dillo oggi dillo domani, il padre, per aver pace, vendette il cavallo e gli comprò i ferri. Il figlio s'alzò di buonora, prese i ferri e andò nella macchia a tagliare la legna per fabbricare la barca.
Aveva già mezzo costruita la barca, quando passò un vecchietto.
- Che fai di bello, figlio mio?
E lui: - Quel che mi pare.
E il vecchietto: - E cos'è che ti pare?
E lui: - Doghe da botte!
- E doghe da botte tu possa trovar fatte, - e se n'andò.
L'indomani mattina tornando al bosco dove aveva lasciato la barca a mezzo con la legna ed i ferri, non trovò altro che un mucchio di doghe da botte. Tornò a casa piangendo come un disperato e raccontò al padre la disgrazia che gli era successa. Il padre che per scapricciarlo s'era spropriato del cavallo, figuratevi che lune lo presero! Un altro po' e lo scannava!
Non era passato un mese, ed ecco che quest'idea di provarsi a costruire la barca gli venne al figlio mezzano. Si mise intorno al padre, e pigola e sospira finché il padre non fu costretto a disfarsi del somaro per comprargli i ferri adatti. E anche lui prese i ferri e se n'andò nel bosco a tagliar la legna. Aveva mezzo costruito la barca, quando passò quel vecchietto e disse:
- Che stai facendo, bel figliolo?
E lui: - Faccio quel che mi garba.
E il vecchietto: - E cos'è che ti garba?
- Manici da scope!
-E manici da scope tu possa trovar fatti! - disse il vecchietto, e voltò strada.
Lui la sera va a casa, mangia, dorme, e la mattina all'alba torna nella macchia. Lo stesso com'era successo al fratello: ci trovò solo un mucchio di manici da scope.
Il padre, quando gli arrivò anche lui disperato a raccontargliela, - Ti sta bene! - gridò. - Vi sta bene a tutti, con queste idee! E sta bene anche a me che vi do retta!
Allora, il piú piccolo, che era lí presente, disse:
- Be', visto che abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno: tata mio, fatemici provare anche a me. Vendiamo il porchetto e rifacciamoci i ferri. Chissà che quel che non è riuscito a loro riesca a me.
A farla breve, fu venduto il porchetto; e il figlio piú piccolo ebbe i ferri per andarsene alla macchia. Aveva fatto già mezza barca, quando si presentò il vecchietto delle altre volte.
- Figlio bello, cosa fai?
E lui: - Sto facendo una barca che cammini per mare e per terra.
Disse allora il vecchietto: - E una barca che cammini per mare e per terra tu possa trovar fatta, - e se n'andò.
Il ragazzo a sera va a casa, mangia, dorme, e all'alba ritorna. Trovò la barca finita tutta a puntino, con le vele spiegate, ci montò su, disse:
- Barca, cammina per terra, - e la barca, liscia come sull'acqua, si mise ad andare per il bosco, prese la via di casa e si presentò al padre e ai fratelli che restarono li di pietra pomice, restarono.
Il figlio piú piccolo, sempre dicendo: - Barca, cammina per terra, - prese la via del palazzo del Re. Quando c'era un fiume da passare la barca galleggiava, quando c'era da passare pianure o montagne, la barca filava leggera sulla terra.
Ormai la barca ce l'aveva ma gli mancava l'equipaggio. Arrivò a un fiume, nel punto in cui ci sfociava un fiumetto piú piccolo. Ma l'acqua del fiumetto non arrivava al fiume, perché poco piú sopra, inginocchiato sulla riva, c'era un omone che se la beveva tutta.
-Accidempoli che gargarozzo che hai, buon uomo! - gli fa il ragazzo. - Ci verresti con me, che ti porto al palazzo del Re?
L'omone dette ancora una sorsata, fece glu-glu, e disse: - Volentieri, ora che mi son tolto un po' di sete, - e montò sulla barca.
La barca va per acqua e va per terra, e arriva dove c'era un omone che girava sul fuoco un bastone e su questo bastone c'era infilata una bufala sana sana.
-Ahò, - gli fece il ragazzo dalla barca, - ci vuoi venire con me che ti porto al palazzo del Re?
-Volentieri, - gli rispose quello. - Aspetta solo che mi mangi quest'uccelletto.
- Fa' pure.
E l'omone prese la bufala infilzata allo stecco e se la succhiò come fosse stata un tordo. Poi s'imbarcò, e ripresero il viaggio.
La barca andò per laghi e per campagne, e arrivò da un altro omone che stava appoggiato con le spalle a una montagna.
-Ahò! - gli fece il padrone della barca. - Ci vuoi venire con me al palazzo del Re?
E l'omone: - Non mi posso muovere.
- Perché non ti puoi muovere?
- Perché reggo la montagna con le spalle, se no casca.
- E tu lasciala cascare.
L'omone tenne scostata la montagna con la mano e saltò dentro la barca; la barca era appena ripartita che si senti: bum!, un boato: la montagna era cascata giú.
La barca andò per strade e per colline e arrivò davanti al palazzo del Re; il ragazzo smonta e dice:
- Io, Sacra Corona, sono stato buono a fabbricare questa barca che va per acqua e per terra: conseguentemente adesso voi mantenete la promessa col darmi vostra figlia in sposa.
Il Re, che non se l'aspettava, ci rimase male, e si pentí d'aver messo fuori quell'editto. Adesso gli toccava di dare sua figlia a un morto di fame qualunque, che nemmeno conosceva.
-La figlia ve la do, - rispose il Re, - a patto che voi e il vostro seguito riusciate a mangiare il pranzo che v'offrirò, senza lasciar nemmeno un'ala di pollo o un chicco d'uva passa.
- E va bene. A quando, questo pranzo?
-A domani -. E fece preparare un pranzo d'un migliaio di pietanze. " Questo straccione, - pensava, - non ci avrà certo un seguito tale da consumare tutta questa roba ".
Il padrone della barca si presentò con una persona sola di seguito: quell'omone che mangiava le bufale come fossero tordi. Mangia e rimangia, si masticò dieci pietanze, una dopo l'altra, poi ne deglutí cento, ne spolverò mille; e il Re, che era stato a vederlo senza parola, si riscosse per dire ai camerieri:
- Non c'è rimasto altro in cucina?
- C'è ancora qualche avanzo.
Furono portati in tavola gli avanzi; e quello ebbe lo stomaco di mangiarsi anche le briciole.
-Ben inteso che sposerete mia figlia, si capisce. Però prima volevo offrire al vostro seguito tutto il vino della mia cantina; ma bisogna che lo beviate tutto, senza lasciarne neanche un fondo di bicchiere.
Venne quello che si beveva i fiumi e cominciò a scolarsi una botte, poi un barile, poi una damigiana; finí per mettere le mani anche su due botticelle di malvasía che il Re aveva nascosto per serbarsele per sé e mandò giú anche quelle.
-Sia ben chiaro, - disse il Re, - che io non ho niente in contrario a darti mia figlia. Ma, insieme a mia figlia c'è la dote: comò, credenze, il letto, il lavamano, la biancheria, le casse dei tesori e tutto quel che c'è in casa. Bisogna che porti via tutto in una volta sola, immantinenti, con mia figlia in cima a tutto questo.
-Te la senti di fare uno sforzetto? - disse il ragazzo all'omone che reggeva le montagne.
- Magari! - fece lui. - È la mia passione!
Vanno sotto al palazzo,. - Siete pronti? - dicono ai facchini. - Si? Allora cominciamo a caricare la roba sulle spalle.
Cominciarono a metterci armadi, tavole, casse di gioielli, gli fecero una montagna sulla schiena che arrivava fino al tetto; e la figlia del Re per montarci in cima dovette salire sulla torre. Quando la figlia del Re fu lassú, l'omone disse:
- Si tenga forte, Princípessa -.
Prese la corsa, arrivò con tutta la catasta alla barca e saltò a bordo.
Il ragazzo disse: - Adesso vola, barca mia.
E la barca si mette a filare per la piazza, per le vie, per la campagna.
Il Re che guardava dalla sua loggia, grida:
- Lesti, miei fidí, inseguiteli, agguantateli, riportatemeli in catene!
Parte l'esercito alla carica ma non riusciva che a mangiare il polverone sollevato dalla barca, e restò a mezza strada con la lingua fuori.
Il padre del ragazzo, a veder tornare il figlio píú piccolo con la barca piena di ricchezze e la figlia del Re vestita da sposa, si sentí il cuore pieno di consolazione.
Il ragazzo fece fabbricare un palazzo che era le sette bellezze, ne diede un piano al padre e ai fratelli, e uno a ciascuno dei suoi compagni, e tutto il resto per lui e la figlia del Re sua sposa.
di Italo Calvino