FIABA
C'era una volta, tanto tempo fa, nelle terre di Ripacandida, una povera donna di nome Soriana, che viveva di stenti con i suoi tre figli.
Soriana un brutto giorno si ammalò e, quando sentì che era giunta la sua ora, chiamò i figli e lasciò loro le sole cose che aveva: al primo una madia dove impastava il pane, al secondo un tagliere sul quale dava forma al pane, e a Fortunio, che era il più piccino, una gatta.
Dopo la morte della povera donna le vicine di casa, quando ne avevano bisogno, andavano a chiedere in prestito ai fratelli maggiori ora la madia, ora il tagliere, e facevano per loro una focaccia, con la quale si sfamavano. Ma quando Fortunio ne chiedeva un pezzettino, i suoi fratelli gli dicevano:
"Va' dalla tua gatta, che te lo darà lei", e così lui aveva sempre fame.
La gatta, che era fatata, sentì compassione per Fortunio e un giorno gli disse:
"Padrone, non ti disperare, ci penso io, e avremo tutto quello che ci serve per vivere".
Uscì di casa e andò in un campo, si distese facendo finta di dormire e quando le passò accanto una lepre l'acchiappò, la mise nel suo carniere e andò a bussare al palazzo del re: quando il re di Ripacandida seppe che c'era una gatta che gli voleva parlare, la fece entrare e le domandò cosa voleva.
La gatta rispose "Messer Fortunio, mio padrone, ha preso questa lepre e te la manda in dono, maestà", e così dicendo aprì il carniere e gli mostrò la sua caccia.
Il re gradì il dono e quando le chiese chi era questo Fortunio la gatta rispose:
"Il mio padrone è un giovane tanto buono, bello e vigoroso che nessuno può competere con lui".
Allora il re fece i complimenti alla gatta, le diede bene da mangiare e bene da bere, e quando lei si fu riempita la pancia, lesta lesta con la zampina riempì il carniere di cose buone, mentre nessuno la vedeva, poi salutò il re e portò tutto a Fortunio.
I fratelli, quando lo videro mangiare così bene gli chiesero dove aveva preso quelle squisitezze, e lui rispose:
"Me le ha date la mia gatta", lasciandoli con un palmo di naso.
La gatta continuò per molto tempo a portare al re gli animali che cacciava, dicendo che glieli mandava il suo padrone, così mangiava bene e riempiva il suo carniere di cose buone per Fortunio, finché un giorno si stancò di tutta la fatica che doveva fare avanti e indietro, allora chiamò Fortunio e gli disse:
"Padrone, se farai come ti dirò, presto diventerai ricchissimo".
"E in che modo?", le chiese il giovane.
La gatta rispose: "Vieni con me senza far tante domande, che io voglio proprio farti star bene".
Siccome Fortunio era pieno di rogna e di scabbia, la gatta prima di tutto lo leccò da capo a piedi e lo pettinò benissimo, così Fortunio diventò uno splendido giovane .
Il giorno dopo lo portò al fiume vicino al palazzo del re, lo fece spogliare e gli disse di tuffarsi. Poi nascose i suoi vestiti rattoppati e cominciò a gridare con tutto il fiato che aveva:
"Aiuto! Aiuto! accorrete! Vogliono annegare messer Fortunio! Aiuto!".
Il re sentì, e ricordandosi che quel messer Fortunio gli aveva mandato tante lepri, fagiani e pernici, ordinò ai suoi servitori di andare a salvarlo. Così tirarono fuori Fortunio dal fiume, gli diedero nuovi abiti da indossare, e lo portarono dal re, che lo ricevette con molta cortesia e gli chiese chi lo aveva buttato nell'acqua. Il giovane stava in silenzio a testa bassa, ma la gatta, che era sempre accanto a lui, disse:
"Il mio padrone è così addolorato che non può parlare, ma devi sapere che alcuni furfanti hanno visto che aveva con sé uno scrigno di gioielli che voleva portarti in dono, maestà, e lo hanno assalito, derubato, spogliato di tutto; poi per ucciderlo lo hanno buttato nel fiume, ed è solo merito tuo se è ancora vivo".
Guardando Fortunio il re lo trovò bello, forte e nobile di portamento, così decise di dargli in isposa sua figlia, la bella Lisetta, con una ricchissima dote.
Si celebrarono le nozze con una grande festa, poi il re fece caricare dodici muli di oro, gioielli e vesti preziose, e dopo aver assegnato alla figlia dame di compagnia e cameriere, guardie e servitori, l'affidò a messer Fortunio perché la conducesse a casa sua.
Fortunio ora era bello e aveva una sposa con una ricca dote, ma non sapeva proprio dove portarla, e lo disse alla sua gatta, che gli rispose:
"Non dubitare, padrone mio, provvederò io a tutto".
Quando l'allegra cavalcata partì, la gatta corse avanti svelta svelta, e si era allontanata un bel tratto dalla compagnia quando incontrò dei cavalieri, ai quali disse:
"Che fate qua disgraziati? Scappate subito, perché sta arrivando un drappello di armati, e vi sbaraglieranno! Eccoli che si avvicinano, sentite lo strepito dei cavalli che nitriscono?".
I cavalieri impauriti le domandarono: "Che possiamo fare ora?", e la gatta rispose:
"Fate così: se vi chiederanno di chi siete cavalieri, voi rispondete decisi: 'Di messer Fortunio!', e nessuno oserà toccarvi".
Poi la gatta corse ancora avanti, e avendo visto immense greggi di pecore e mandrie di vacche e di cavalli, disse ai pastori e ai mandriani:
"Poveri voi! Non sentite che si stanno avvicinando innumerevoli armati, che tra poco vi uccideranno tutti?".
I pastori e i mandriani s'impaurirono e dissero: "E come possiamo salvarci?",
"Fate così," rispose la gatta, "quando vi chiederanno di chi sono tutti questi animali voi rispondete sicuri: 'Di messer Fortunio', e nessuno oserà farvi del male".
Quelli che formavano il seguito della figlia del re di Ripacandida, procedendo lungo la via, domandavano: "Di chi siete voi cavalieri? di chi sono tutte queste greggi e questi begli armenti?", e tutti rispondevano in coro: "Di messer Fortunio!".
Allora gli chiesero: "Messer Fortunio, stiamo ora entrando nella vostra proprietà?", e lui faceva cenno di sì, e chinando il capo rispondeva sempre di sì, così tutti ammirati dissero fra loro che messer Fortunio era proprio un gran signore.
Intanto la gatta era arrivata a uno splendido castello, quasi disabitato, e disse:
"Che fate buona gente? Non vi accorgete della sventura che sta per colpirvi?".
"Che cosa?" domandarono gli abitanti del castello, e la gatta rispose:
"Prima che un'ora sia trascorsa, arriveranno molti soldati e vi faranno a pezzettini. Non sentite il nitrito dei cavalli? Non vedete la nuvola di polvere che si solleva al loro passare? Se non volete morire, seguite il mio consiglio, e sarete tutti salvi. Appena qualcuno vi chiederà: 'Di chi è questo castello?', senza esitare rispondete: 'Di messer Fortunio'".
Quando la bella cavalcata giunse al castello, qualcuno domandò ai guardiani di chi era, e quelli a gran voce risposero:
"Di messer Fortunio!",
Così il corteo entrò e si sistemarono tutti molto comodamente.
Bisogna sapere che il padrone di quel castello e di tutte le terre che lo circondavano era un vecchio signore, che da qualche tempo se ne era allontanato con il suo seguito per andare chissà dove, ma non aveva ancora fatto ritorno, e forse gli era successa qualche misteriosa disgrazia, perché non se ne seppe più nulla.
Così Fortunio rimase padrone di tutte quelle ricchezze e al momento giusto salì al trono di Ripacandida, vivendo a lungo felice con la sua sposa Lisetta e con molti discendenti.
di Gianfrancesco Straparola