I miei due centesimi di probabilmente insignificante esperienza personale...
Un tempo scrivevo nella volontà di essere letto. Scrivevo nella convinzione di avere qualcosa di speciale da dire, qualcosa di unico da comunicare al mondo intero. Scrivevo, addirittura, certo di poter cambiare il mondo intero con le mie parole, con quanto io avrei scritto. E scrivendo in questo modo, non ho mai superato la cinquantina di pagine dattiloscritte.
Perché?
Perché scrivendo in questo modo, con tali prerogative e aspettative, stavo ponendo troppa carne al fuoco. E la stavo ponendo al fuoco non solo ancora prima di averlo acceso, ma ancora prima di aver raccolto la legna utile per accenderlo e, soprattutto, di aver dato la caccia alla bestia dalla quale l'avrei potuta ottenere. E, da questo, tutto ciò che ero in grado di ottenere era soltanto frustrazione nel confronto con un panorama editoriale che non mi avrebbe mai lasciato alcuna possibilità di spazio (all'epoca neppure esistano gli Young Adults, come cita il tizio in questione... altro che uno su un milione).
Così iniziai a cercare qualunque modo per ricavarmi i miei cinque minuti di notorietà. Diventai pressoché una prostituta, a livello psicologico, nel tentare di ottenere, sempre e comunque, l'approvazione degli altri, senza mai, ovviamente, potervi riuscire. E la frustrazione, necessariamente, continuò a crescere. E quando coloro su cui avevo investito speranze e sogni mi tirarono una bella legnata sui denti, compresi tardivamente il mio errore: non avrei mai dovuto mettermi a scrivere nella speranza di essere letto.
Fanbrodo all'essere letto! Fanbrodo a piacere! Fanbrodo a tutti!
In quel momento, per la prima volta, capii veramente le parole di una vecchia canzone che conoscevo da sempre, che cantavo da sempre, e che pur, prima di allora, mi era sfuggita nella propria più reale essenza...
Io canto quando posso, come posso
quando ne ho voglia senza applausi o fischi
vendere o no non passa tra i miei rischi
non comprate i miei dischi e sputatemi addosso.
(ovviamente Guccini)
Fu allora che iniziai a scrivere Midda.
Iniziai a scrivere con un intento ben definito in mente: quello di scrivere soltanto ciò che avrei avuto voglia di scrivere, fregandomene dell'originalità, fregandomene del fatto se sarebbe piaciuto o meno, fregandomene del pensiero che non tenendolo chiuso nel cassetto, insieme alle tante altre idee abbandonate, non avrei avuto mai la possibilità di proporlo a un qualche editore.
Iniziai a scrivere con il solo intento di compiacere me stesso. Di divertirmi nel farlo. Di svagarmi nello scrivere. E di ricordarmi quanto non mi sarei più dovuto permettere di fare qualcosa per compiacere gli altri.
E iniziai a scrivere pubblicando direttamente in rete, imponendomi una scadenza quotidiana costante non tanto per battere un qualche record dei primati (chissà se magari l'ho battuto?!
), ma soltanto per costringermi a scrivere ogni giorno, come un atleta si costringe ogni giorni ad allenarsi in palestra per non vanificare gli sforzi sino ad allora compiuti.
Da quel giorno, per me, sono passati 2.002 giorni... e 2.735.572 parole scritte (il conteggio dei caratteri evitiamolo, dai) che, ora di stasera a mezzanotte, saliranno ancora.
Tutto ciò mi ha portato a essere famoso? No.
Tutto ciò mi ha fatto finire in TV o sui giornali? No.
Tutto ciò mi ha reso ospite a una qualche presentazione con tanto di presentatore? No.
Tutto ciò mi ha aiutato a comprendere meglio me stesso? Sì.
Tutto ciò mi ha donato serenità anche nei momenti peggiori? Sì.
Tutto ciò mi ha permesso di portare, finalmente, un'opera a termine? Sì. Anche più di una.
E in più, sorpresa sorpresa, tutto ciò è anche stato letto da qualcuno. Qualcuno a cui non è piaciuto. E qualcuno a cui è piaciuto. E qualcuno a cui è piaciuto in misura sufficiente da spingerlo a leggere altro. O, persino, a complimentarsi con me.
Fra dieci, venti, cinquanta o cent'anni, Midda sarà ricordata? Non lo so. Ma, oggettivamente, non credo che neppure Michael Connelly possa essere certo che i suoi libri saranno ricordati, malgrado tutti i soldi che gli stanno fruttando.
Fra dieci, venti o cinquant'anni, io mi ricorderò di Midda? Non ne ho dubbi. Perché Midda non è soltanto un personaggio di cui scrivo. E' parte della mia vita, della mia quotidianità. E non mi lascerà mai... non facendomi mai sentire quale una sua vittima, come alcuni autori famosi dichiarano di sentirsi essere delle proprie più celebri opere.
E di questo, sinceramente, ne sono assolutamente soddisfatto.
(... poi, per carità, se mi farà diventare anche schifosamente ricco, tanto di guadagnato.
)