Yanvas raggiunge la taverna di Daimmvor:
Rimase in contemplazione fino a quando sulle cime
non rimase che una sottile lama di luce e le valli sottostanti
furono inghiottite dalle tenebre. Si avviò con lentezza verso
l’ingresso della locanda, dove un ragazzo si era arrampicato
con una scala per accendere la lanterna che avrebbe guidato
gli ultimi viandanti. Yanvas passò sotto l’arcata mentre,
assolto quel compito, il garzone si apprestava a chiudere i
cancelli. Il ragazzo si esibì in un lieve inchino, cui l’uomo
rispose con un cenno del capo. Si era fatto tardi, Trimvos e
Pitral dovevano essere impazienti e affamati, perciò consegnò
le redini al giovane insieme a una manciata di monete
ed entrò per unirsi a loro.
Appena mise piede oltre la soglia della taverna, fu investito
da una zaffata di aria calda e viziata, satura di sudore,
cibo e fumo. Daimmvor, la Locanda Nera, così chiamata per
il colore della roccia con cui era stata costruita, era scura
anche all’interno: il soffitto di legno e le travi a vista che lo
attraversavano erano neri per le frequenti fumigazioni con
cui venivano disinfestati e la scarsa aerazione del locale.
L’edificio era assai più imponente delle tipiche taverne e
stazioni di posta, poiché spesso il maltempo scoraggiava le
carovane dall’affrontare le montagne, e così poteva ospitare
con agio un gran numero di persone e animali. La sala
traboccava di mercanti, soldati e faccendieri di ogni risma.
Un paio di bardi in piedi sui tavoli si contendevano l’attenzione
degli avventori con poemi e ballate che prevalevano
a stento sul brusio.