Manente entrò per primo in una taverna odorosa di cenere, braci e stufato di carne. Da fuori il locale sembrava una delle tante case abbruttite dal tempo lungo la strada parallela a quella che conduceva a Porta San Miniato. Tre finestre erano aperte nonostante la pioggia per lasciare entrare la luce del giorno e solo un'insegna di legno cigolante e sbiadita avvertiva gli avventori che stavano per entrare al Porto di mare: un nome assurdo per un locale di una città che per avere un porto si era dovuta comprare Livorno.
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Dentro, la taverna non faceva miglior impressione rispetto a quanto si vedeva da fuori. Nel grande stanzone vi erano solo quattro tavolacci grezzi, circondati da panche e sgabelli sui quali dormivano gli ubriachi, con la testa appoggiata tra le braccia. Un bancone su cui si mesceva il vino, e un grande camino per cucinare nella parete alla destra della porta completavano il quadro; vi lavoravano un uomo di mezza età secco come una scopa e una giovane donna bruna dalle forme provocanti.
(IL PORTO DI MARE da Gens Arcana di Cecilia Randall)