L'uomo selvatico

Moderatore: demon black

L'uomo selvatico

Messaggiodi demon black » 16/09/2010, 14:46

FIABA


Regnavano un tempo nel prosperoso reame di Serradifalco un re potente e una bella regina che avevano un solo figlio, il giovane principe Guerrino.
Il re amava molto la caccia, nella quale eccelleva per forza e abilità, e un giorno che si trovava a una battuta con i suoi baroni e cavalieri vide uscire da una fitto bosco un uomo selvatico grande e grosso, brutto e mostruoso, che mostrava una forza straordinaria, e tutti rimasero a guardarlo pieni di meraviglia.
Il re chiamò accanto a sé i suoi due migliori cavalieri e dopo un lungo combattimento riuscì a catturarlo, lo legò e lo portò a palazzo, dove lo chiuse a chiave in una stanza sicura, ordinando che non gli facessero mancare nulla.
Siccome il re teneva all'uomo selvatico più che a ogni altra cosa, diede le chiavi della sua prigione alla regina perché le custodisse, e non passava giorno senza che andasse a guardarlo con grande piacere.
Dopo poco tempo il re ebbe di nuovo voglia di andare a caccia, e quando tutto fu pronto partì con i suoi baroni e cavalieri, non senza aver raccomandato alla regina quelle chiavi.
Mentre il re era a caccia Guerrino sentì un gran desiderio di vedere l'uomo selvatico, e ci andò da solo con un arco e una freccia d'oro che amava molto. Accanto alla grata della prigione vide il mostro, e tenendo fra le mani la freccia finemente lavorata si mise a ragionare con lui come con un compagno. L'uomo selvatico parlando lo carezzava e gli faceva tanti complimenti, ma d'un tratto con una mossa improvvisa gli prese la freccia d'oro. Guerrino si mise a piangere a dirotto e fra le lacrime chiedeva all'uomo selvatico che gli rendesse la sua freccia, finché a un certo punto lui disse:
"Se mi vuoi aprire e rendere la libertà ti renderò la tua freccia, altrimenti non la riavrai mai più".
Il fanciullo allora gli rispose:
"Ma come posso aprirti e liberarti, se non so come fare?"
E il mostro: "Se tu volessi davvero sciogliermi e farmi uscire da questa stretta prigione, io ti insegnerei subito il modo di farlo".
"Ma come?", disse Guerrino, "dimmi in che modo!"
E l'uomo selvatico gli insegnò: "Va' dalla regina tua madre, e se la troverai addormentata guarda attentamente sotto il guanciale sul quale posa il capo, e piano piano, perché non ti senta, rubale le chiavi della prigione, portale qui e aprimi: appena mi avrai aperto ti restituirò la freccia, e forse un giorno potrò ricompensarti ancora per la libertà che mi rendi".
Guerrino, tutto desideroso della sua freccia d'oro, non stette tanto a pensarci, corse dalla madre che riposava tranquilla, le tolse piano piano le chiavi, e con quelle tornò dall'uomo selvatico, dicendogli:
"Ecco le chiavi. Se io ti libero di qui, va' tanto lontano che di te non si senta più nemmeno l'odore, perché se mio padre, che è gran maestro di cacce, ti riprendesse, facilmente ti farebbe uccidere".
"Non dubitare, bambino mio," disse l'uomo selvatico, "appena mi avrai aperto la prigione e sarò libero ti darò la freccia d'oro, e andrò tanto lontano che né tuo padre né chiunque altro mi troverà più".
Guerrino impegnandosi con tutte le sue forze riuscì ad aprire la prigione, e l'uomo selvatico, dopo avergli reso la freccia e averlo ringraziato, se ne andò.
Bisogna sapere che l'uomo selvatico era stato un giovane bellissimo, che non era riuscito a conquistare la fanciulla che amava, e per la disperazione del suo cuore era fuggito lontano da tutti ed era andato a vivere nei boschi tra gli animali selvaggi, nutrendosi di erbe e dissetandosi alle fonti insieme alle belve. Così dopo un po' di tempo il pelo del povero giovane era aumentato e si era fatto ispido, la pelle gli si era indurita, mentre la barba folta era cresciuta moltissimo e come i peli e i capelli era diventata verde come l'erba che mangiava, dandogli l'aspetto di un mostro.
Intanto la regina svegliandosi mise le mani sotto il guanciale per prendere le chiavi che teneva sempre con sé, e non trovandole non capiva cosa fosse successo, rivoltò le lenzuola, le coperte, i materassi, ma inutilmente, poi correndo come impazzita alla prigione trovò la porta spalancata e non vide più l'uomo selvatico. Si sentì morire dal dolore, e correva per il palazzo da una stanza all'altra, domandando a tutti quelli che incontrava chi era stato quel temerario incosciente che aveva osato prendere le chiavi della prigione a sua insaputa. E quando Guerrino incontrò sua madre e la vide così infuriata, disse:
"Madre mia, non dare a nessuno la colpa per l'apertura della prigione, se c'è qualcuno che deve essere punito, quello sono io, perché io da solo l'ho aperta".
La regina allora si addolorò ancora di più, temendo che il re quando tornava dalla caccia sarebbe andato in collera al punto di uccidere Guerrino, perché le aveva raccomandato quelle chiavi come dandole in custodia il suo cuore. Così la regina, credendo di evitare un guaio, ne combinò uno molto più grande, perché senza aspettare neanche un momento chiamò due servitori fedelissimi, affidò loro suo figlio e dopo averli forniti di molte pietre preziose, gioielli, denari e cavalli bellissimi li fece partire, pregandoli di aver sempre cura del principe Guerrino.
Dopo poco tornò il re dalla caccia, appena fu a palazzo andò alla prigione dell'uomo selvatico, vide la porta aperta e capì che era fuggito, e subito fu preso da una collera terribile e decise di uccidere chi lo aveva fatto scappare.
Andò dalla regina che era seduta tutta triste nella sua camera, e le domandò chi era stato così sfacciato, arrogante e temerario da aprire la prigione e far fuggire il mostro. La regina con un filo di voce tremante gli rispose:
"Calmati, mio signore, nostro figlio mi ha confessato di essere stato lui", poi gli raccontò tutto quello che aveva fatto Guerrino, e il re si arrabbiò molto.
Allora la regina continuò dicendo che per paura che lo uccidesse lo aveva fatto partire per terre lontane accompagnato da due servitori fidati, ben forniti di gioielli e denari per le necessità del viaggio. Al povero re queste parole raddoppiarono il dolore, e per poco non cadde a terra e non impazzì per la disperazione, se non lo avessero fermato i suoi baroni e cavalieri in quel momento avrebbe ucciso la regina.
Quando scese la sua collera e ritornò in sé il re disse:
"Signora, come hai potuto mandare in paesi sconosciuti il nostro unico figlio? Credevi forse che tenessi più a un uomo selvatico che al sangue del mio sangue?", e senza aspettare risposta diede ordine ai suoi soldati che si schierassero in quattro drappelli e muovessero alla ricerca del principe verso tutti i punti cardinali.
Ma fu inutile, perché Guerrino viaggiava in incognito con i suoi servi e nessuno poteva riconoscerlo.



Così cavalcando coi suoi servitori, passando per valli, monti e fiumi, fermandosi un po' in un posto e un po' in un altro, Guerrino arrivò all'età di sedici anni, ed era diventato bello come una rosa di maggio.
In quel tempo i suoi servitori ebbero un'idea diabolica: uccidere Guerrino e dividersi tutte le sue ricchezze. Ma non poterono attuare il loro piano, perché proprio allora passava di là un bellissimo giovane a cavallo di un superbo destriero bardato con finimenti preziosi, e chinato il capo con cortesia salutò Guerrino dicendo:
"Gentile cavaliere, se non ti fa dispiacere, vorrei cavalcare insieme a te". Guerrino gli rispose:
"Sei così gentile che non si può rifiutare la tua compagnia, ti ringrazio, e anzi sono io a chiederti il grande favore di cavalcare con noi. Siamo forestieri, non conosciamo le strade, e tu cortesemente ce le potrai insegnare, poi lungo la via potremo raccontarci le nostre storie, e il cammino ci sembrerà meno lungo".
Bisogna sapere che questo cavaliere era l'uomo selvatico che Guerrino aveva liberato dalla prigione di suo padre. Dopo aver errato a lungo per boschi e luoghi strani, un giorno per caso aveva incontrato una fata bellissima, che soffriva di una malattia mortale. Avendolo visto così deforme e osservando la sua bruttezza, la fata aveva riso di lui così fragorosamente che gli era scoppiato quell'ascesso vicino al cuore che stava per ucciderla. Così la bella fata trovandosi sana e salva gli era stata grata e gli aveva detto:
'Uomo tanto deforme e sozzo, mi hai reso tu la vita che temevo di perdere, va', io voglio che tu diventi il più bello, il più gentile, il più saggio e il più affascinante giovane che si possa trovare, e voglio anche farti partecipe della mia virtù e della mia potenza magica, perché tu possa fare e disfare in un batter d'occhio ogni cosa secondo il tuo desiderio".
E infine, facendolo montare su un superbo destriero fatato, gli aveva detto che poteva andare ovunque desiderasse.
Cavalcando insieme, dopo un po' di tempo Guerrino e il giovane cavaliere giunsero alla potente città di Assoro, nella quale viveva un re che aveva due figlie, Fedora e Miranda, tanto belle e piene di grazia che tutti si incantavano a guardarle.
Appena giunti ad Assoro, Guerrino col cavaliere sconosciuto e i due servitori presero alloggio nel miglior ostello della città; il cavaliere disse che voleva partire per visitare altri reami e salutò Guerrino ringraziandolo della compagnia, ma il principe ormai lo amava molto, e non volendo che partisse lo pregò con tanta dolcezza che lo convinse a restare.
In quel tempo il reame di Assoro era infestato da due belve: un cavallo e una cavalla selvatici, tanto feroci che non solo distruggevano tutti i raccolti dei campi, ma uccidevano gli animali domestici e anche gli esseri umani. I terribili cavalli avevano sparso il terrore fra la popolazione, che preferiva partire lasciando le case e le terre del reame di Assoro.
Non c'era nessuno che avesse la forza e il coraggio di affrontarli e di ucciderli, così il re vedeva il suo reame devastato e abbandonato, ma non sapeva come trovare un rimedio, e si disperava maledicendo la sua sfortuna.
I due servi, che non avevano potuto attuare il loro piano malvagio lungo la via per l'arrivo del cavaliere sconosciuto, volevano impossessarsi dei gioielli e dei denari di Guerrino, ma avevano paura di essere scoperti, così cercando un modo per farlo morire pensarono di dire all'oste che Guerrino era un prode e valente cavaliere, che tante volte si era vantato di sapere come fare a uccidere il cavallo selvatico senza pericolo.
"L'oste andrà a riferirlo al re," dissero, "e il re di Assoro non vuole altro che la morte dei due animali selvatici e il benessere del suo reame, così farà chiamare Guerrino e gli chiederà come intende fare, lui non saprà rispondere, sarà condannato a morte, e noi resteremo padroni delle sue ricchezze".
Appena l'oste li sentì parlare del coraggio di Guerrino ne fu felice, corse dal suo re e dopo essersi inchinato gli disse:
"Maestà, sappi che nel mio ostello c'è un cavaliere errante molto bello che si chiama Guerrino, e parlando con i suoi servitori ho saputo che il loro signore è prode, coraggioso e tanto valente con le armi in pugno che nessuno ha mai potuto batterlo, e questo Guerrino si è più volte vantato che con la sua forza e la sua potenza può domare il cavallo selvatico che devasta il tuo reame".
Sentendo queste parole il re volle vedere Guerrino, e l'oste, servendolo fedelmente, andò subito a dirgli di andare dal re, perché voleva parlare con lui.
Guerrino allora si presentò al re, e inchinandosi gli chiese per quale ragione lo aveva chiamato.
Il re gli disse: "Guerrino, il motivo che mi ha spinto a farti venire qui è che io ho saputo che sei un valoroso cavaliere, non ce n'è un'altro come te in tutto il mondo, e che molte volte hai detto di avere tanta forza che senza danno per te o per altri sapresti catturare il cavallo che devasta miseramente il mio reame. Se il cuore ti basta per provarti in un'impresa gloriosa come questa e tornare vincitore, io ti prometto sulla mia testa di farti un tale dono che sarai felice per il resto della tua vita".
Guerrino, sentendo la formidabile proposta del re, rimase molto meravigliato, e negò di aver mai detto le parole che gli erano state attribuite. Il re allora si rannuvolò, e molto arrabbiato disse:
"Voglio, Guerrino, che tu tenti questa impresa, e sappi che se non obbedisci alla mia volontà ti condannerò a morte".
Lasciato il re, Guerrino tornò all'ostello addolorato, e non osava dire la pena che gli stringeva il cuore, ma il cavaliere sconosciuto, vedendolo contrariamente al solito pieno di malinconia, gli chiese dolcemente per quale ragione era avvilito e mesto. E lui, volendogli bene come a un fratello, non potè far a meno di rispondergli, e raccontò tutto quello che gli era capitato col re. Allora il giovane sconosciuto gli disse:
"Sta di buon animo e non dubitare, perché io ti insegnerò come fare e non morirai, tu sarai anzi vincitore e il re avrà quello che chiede. Ora tornerai dal re, gli chiederai che faccia venire un valente maestro maniscalco, al quale ordinerai quattro grandi ferri da cavallo, che siano massicci e tutt'intorno due dita abbondanti più grandi dei ferri normali, che siano ben crestati e che dietro abbiano due ramponi lunghi come un grande dito, appuntiti e taglienti. Appena li avrà finiti, farai ferrare con quelli il mio cavallo, che è fatato, e non dubitare di nulla".



Guerrino, tornato dal re, fece come gli aveva detto il suo compagno, e il re, chiamato un ottimo maniscalco, gli ordinò di mettersi ai comandi di Guerrino. Il maestro andò nella sua bottega con lui, ma quando sentì cosa voleva rifiutò di farlo perché erano ferri che non si erano mai visti, e lo prese in giro come se fosse matto.
Guerrino allora andò a lamentarsene dal re, che richiamò il maniscalco e gli ordinò nuovamente di obbedirgli, altrimenti avrebbe mandato lui a domare il cavallo selvatico.
Così il maestro di cavalli forgiò subito i quattro ferri e li mise agli zoccoli del destriero fatato. Quando il cavallo fu ferrato e bardato come si deve, il giovane sconosciuto disse a Guerrino:
"Monta sul mio cavallo, e va' sicuro; quando sentirai il nitrito del cavallo selvatico, smonta dal tuo destriero, togli sella e briglie e lascialo libero, poi sali su un albero alto e aspetta che si compia l'impresa".
Guerrino, ben istruito dal suo amato compagno su ciò che doveva fare, lo salutò e partì contento.
Per tutta la città di Assoro si era già sparsa la fama gloriosa di un giovane bello e pieno di grazia che tentava l'impresa di catturare il cavallo selvatico per portarlo al re, così tutti si affacciavano alle finestre per guardarlo mentre passava, e vedendolo così nobile, giovane e bello, ne avevano pietà e dicevano:
"Oh, povero giovane, come cavalca spensierato verso la sua fine! certo è un gran peccato che sia destinato a morire miseramente!", e non riuscivano a trattenere lacrime di commozione.
Ma Guerrino, intrepido e fiero, cavalcando allegramente giunse nel posto in cui stava il cavallo selvatico e sentendolo nitrire scese dal suo cavallo, gli tolse briglie e sella, e dopo averlo lasciato libero si arrampicò su una grande quercia e attese il terribile combattimento.
Era appena salito sull'albero che arrivò il cavallo selvatico e affrontò il destriero fatato, così cominciarono il duello più feroce e sanguinario che si sia visto al mondo. Sembravano due leoni scatenati, schiumavano dalla bocca come irsuti cinghiali cacciati da cani rabbiosi, e dopo un combattimento in cui avevano mostrato pari valore, il destriero fatato tirò due calci al cavallo selvatico, lo colpì con lo zoccolo crestato alla mascella e gliela ruppe, facendogli perdere il vigore per attaccare e per difendersi. Guerrino vide, e tutto contento scese dalla quercia, prese un capestro che aveva con sé, lo legò e lo condusse nella città di Assoro tra la gioia della folla acclamante, portandolo al re come aveva promesso.
Il re decretò festa e trionfo in tutta la città, ma ai due servitori aumentò la rabbia, perché non avevano raggiunto il loro scopo malvagio, e così fecero arrivare al re la notizia che Guerrino avrebbe agevolmente ucciso anche la cavalla, se ne avesse avuto voglia.
Allora il re di Assoro fece come aveva fatto per il cavallo, e siccome Guerrino rifiutava di tentare questa impresa, davvero pericolosa, minacciò di farlo appendere per un piede, come ribelle della corona.
Tornato al suo ostello Guerrino raccontò tutto al suo compagno, che sorridendo disse:
"Fratello, non aver paura, ma va', trova il maniscalco e ordinagli altri quattro ferri grossi come i primi, con i ramponi ben affilati e taglienti; farai tutto come hai fatto col cavallo, e ne avrai gloria ancora più della prima volta".
Dopo aver ordinato e ottenuto i quattro ferri appuntiti, Guerrino fece ferrare il forte cavallo fatato e partì per la grande impresa. Giunto nel posto in cui stava la cavalla selvatica, dopo averla sentita nitrire Guerrino smontò dal suo destriero, gli tolse briglie e sella e lo lasciò libero, poi come la prima volta salì su un albero. Subito vide arrivare la cavalla selvatica che attaccò il destriero con un morso terribile: il cavallo fatato a mala pena riuscì a scampare da questa ferocia, ma si riprese e con tutto il suo vigore tirò alla cavalla un calcio così forte che con uno dei ramponi le ruppe la gamba destra. Subito Guerrino scese dall'albero, la prese e la legò ben stretta, poi salì sul cavallo fatato, andò a palazzo tra ali di folla festante e la portò al re.
Tutti andavano a vedere i feroci cavalli selvatici, ed erano felici perché il paese era finalmente libero.
Guerrino era già tornato all'ostello, ed essendo stanco si era messo a riposare, ma un rumore confuso non lo faceva dormire, così si alzò da letto e sentì che c'era qualcosa di strano che batteva in un vaso di miele. Allora, aperto il vaso, Guerrino vide un calabrone che sbatteva le ali e non poteva volare: sentendo compassione prese quell'animalino e lo mise in libertà.
Intanto il re che non aveva ancora ricompensato Guerrino per il doppio trionfo, pensando che era giusto provvedere subito lo mandò a chiamare, e gli disse:
"Guerrino, vedi bene che per merito tuo il mio regno è liberato dai cavalli selvatici, e per queste imprese che hai compiuto per me intendo ricompensarti. Non trovando altro dono che sia abbastanza grande per te, ho deciso di darti la principessa Fedora in isposa. Ma sappi che ho due figlie: Fedora porta intrecciati con grazia i capelli che brillano come l'oro, l'altra si chiama Miranda e la sua chioma splende come finissimo argento. Se tu riuscirai a indovinare qual è tra loro Fedora dalle trecce d'oro, l'avrai in isposa con una ricchissima dote, se sbaglierai ti farò tagliare la testa".
Guerrino, sentendo come il re lo ricompensava ferocemente, rimase stupefatto, e gli disse:
"Maestà, è questo il guiderdone per le fatiche che ho sostenuto? Questo è il premio per il mio sudore? Mi fai questo gran dono perché ho liberato il tuo reame, che era devastato e quasi deserto? Ahimè, non meritavo questo, né questo si addice a un re potente come te. Ma siccome così ti piace, e io sono nelle tue mani, fa' quel che più ti aggrada".
"Basta," disse il re, "puoi andare, ti do tempo fino al tramonto di domani per trovare la soluzione".
Disperato Guerrino andò dal suo compagno e raccontò cosa gli aveva detto il re. Il cavaliere sconosciuto, senza dar troppo peso a quello che era successo, disse:
"Guerrino, sta contento e non dubitare, che io ti aiuterò a trovare la soluzione. Ricordi che hai liberato un calabrone che era rimasto invischiato nel miele e lo hai fatto volare? E' grazie a lui che vincerai questa prova, perché domani andrà a palazzo e per tre volte volerà sussurrando intorno al viso della principessa dai capelli d'oro, e lei con la candida mano lo scaccerà. Vedendo per tre volte questo gesto tu capirai qual è la tua sposa".
"Oh!" disse Guerrino al suo compagno, "quando verrà il giorno in cui potrò ricambiare il bene che mi hai fatto? Anche se vivessi mille anni, non potrei ricompensarti nemmeno in minima parte. Che tu riceva tutto il bene che meriti dal grande Benefattore!".
Allora il cavaliere sconosciuto rispose:
"Guerrino, fratello mio, tu non hai bisogno di ricompensarmi per quello che ho fatto. E' tempo che ti sveli chi sono. Tu mi hai salvato dalla morte, e anch'io ho voluto fare qualcosa per te: sappi che sono io l'uomo selvatico che liberasti con amore dalla prigione di tuo padre, e il mio nome è Rubino".
E gli raccontò come la fata alla quale aveva salvato la vita lo aveva reso bellissimo e dotato di poteri magici, regalandogli anche il destriero fatato col quale Guerrino aveva catturato i cavalli selvatici.
Il principe rimase stupefatto e senza dire una parola, col cuore colmo di dolcezza, lo abbracciò e lo baciò teneramente, proprio come un fratello. Poi, siccome stava per finire il tempo concesso per la prova, se ne andarono insieme a palazzo, e il re diede ordine che le sue amate figlie velate di veli bianchissimi venissero alla presenza di Guerrino.
Era impossibile distinguere le principesse una dall'altra, ma il re chiese:
"Quale di loro, Guerrino, è la sposa che ti ho destinato?".
Il principe restava in silenzio riflettendo fra sé e sé e non rispondeva nulla, mentre il re, curioso di vedere come andava a finire, lo tormentava, dicendogli che il tempo fuggiva e che doveva decidersi.
Ma Guerrino rispose: "Maestà, se è vero che il tempo fugge, è altrettanto vero che il tempo che mi hai concesso non è ancora finito, perché il sole non è ancora tramontato".
Siccome era vero, il re e tutti gli altri aspettarono ancora, quand'ecco giunse il calabrone, che sussurrando descrisse un cerchio intorno al viso di Fedora. E lei, un po' spaventata, con la mano candida cercava di mandarlo via, e quando ebbe fatto questo gesto tre volte il calabrone se ne andò.
Mentre Guerrino non si sentiva tanto sicuro, pur fidandosi delle parole del suo caro compagno Rubino, tramontò il sole, e il re disse:
"Forza Guerrino, che fai? ormai il tuo tempo è finito: devi deciderti".
Guerrino, dopo aver guardato con attenzione ora l'una, ora l'altra principessa, pose la mano sopra il capo di quella che gli aveva indicato il calabrone e disse:
"Maestà, la vostra figlia dalle chiome d'oro è questa".
Fedora si tolse i veli e fece vedere che davvero aveva i capelli biondi come l'oro.
Allora il re, tra la gioia della corte e la felicità di tutto il popolo, benedisse le loro nozze, poi avendo conosciuto Rubino diede in isposa a lui Miranda dai capelli splendenti come l'argento.
Guerrino allora rivelò che era figlio del re di Serradifalco, e il re di Assoro fu ancora più felice. Mandò messaggeri alla corte di Serradifalco per annunciare le nozze, e quando i genitori di Guerrino giunsero ad Assoro la loro gioia fu indicibile, perché ritrovavano il figlio che credevano perduto e non si saziavano di abbracciarlo e baciarlo.
Furono celebrate nozze sontuose, con festeggiamenti che durarono giorni e giorni, poi Guerrino tornò con la sua sposa nel reame di Serradifalco, mentre Rubino e Miranda restarono eredi al trono di Assoro.
E quando fu il momento le due coppie salirono al trono e regnarono a lungo felici, in pace e prosperità, lasciando dopo di loro molti bellissimi discendenti, maschi e femmine.




di Gianfrancesco Straparola
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