La fiaba è un tipo di narrativa originaria della tradizione popolare, caratterizzata da componimenti brevi e centrati su avvenimenti e personaggi fantastici come fate, orchi, giganti e così via. Si distinguono dalle favole, i protagonisti delle quali sono in genere animali antropomorfizzati o esseri inanimati e il cui intento allegorico e morale è più esplicito. Molti pensano che le fiabe siano tradizionalmente pensate per intrattenere i bambini, ma non è del tutto corretto: esse venivano narrate anche mentre si svolgevano lavori comuni, per esempio filatura, lavori fatti di gesti sapienti, ma in qualche modo automatici, che non impegnavano particolarmente la mente. Erano per lo più lavori femminili, ed è anche per questo che la maggior parte dei narratori è femminile; oltre al fatto che alle donne era attribuito il compito di cura e intrattenimento dei bambini. Le fiabe tutto sommato erano un piacevole intrattenimento per chiunque, e "davanti il fuoco" erano gradite ad adulti e bambini di entrambi i sessi.
In Europa esiste una lunga tradizione orale legata alle fiabe, che riveste un grande interesse per la scienza etnoantropologica. Inoltre, diversi autori hanno raccolto fiabe tradizionali o creato nuove fiabe riprendendo creativamente gli stilemi delle fiabe tradizionali. Fra i trascrittori di fiabe più noti della tradizione europea si possono citare Charles Perrault (Francia) e i fratelli Grimm (Germania), e i più recenti Italo Calvino (Italia), William Butler Yeats (Irlanda) e Aleksander Afanasiev (Russia). Fra gli inventori di fiabe più celebri ci sono invece il danese Hans Christian Andersen, l'italiano Collodi (inventore di Pinocchio) e il britannico James Matthew Barrie (Peter Pan).
LA FIABA POPOLARE
Le fiabe sono state tramandate a voce di generazione in generazione per lunghi secoli e chi narrava le fiabe spesso le modificava o mescolava gli episodi di una fiaba con quelli di un'altra, dando a volte origine ad un'altra fiaba.
Esse hanno un’origine popolare: descrivono la vita della povera gente, le sue credenze, le sue paure, il suo modo di immaginarsi i re e i potenti e venivano raccontate da contadini, pescatori, pastori e montanari attorno al focolare, nelle aie o nelle stalle; non erano considerate, come ora, solamente racconti per bambini, ma rappresentavano un divertimento anche per gli adulti ed avevano grande importanza per la vita della comunità.
Le fiabe raccontano alcuni aspetti del reale, con una veste di storiella puerile e con un infallibile lieto fine: il "Pollicino" abbandonato nei boschi, la "Cenerentola" segregata dalla matrigna e schiavizzata, la "Biancaneve" che scappa e si rifugia nel bosco possono essere visti come esempi della quotidianità del XIX e XX secolo.
LE CARATTERISTICHE
Tutte le fiabe del mondo hanno caratteristiche analoghe:
1) indeterminatezza: personaggi, epoca e luoghi sono quasi sempre indefiniti (e remoti), mai descritti, e quasi mai nominati (fanno eccezione quelle fiabe in cui si parla di Inghilterra o Portogallo, ma è chiaro che il nome indica lontananza quasi inconcepibile) e non sono descritti (si dice "C'era una volta...", "In un paese lontano...", ma non si dice né dove né quando);
2) inverosimiglianza: i fatti che si presentano nel racconto sono spesso fatti impossibili e i personaggi inverosimili o inesistenti nella realtà quotidiana (molti fatti narrati possono accadere solo per magia e molti personaggi esistono solo nella fantasia popolare o mitica, e non di rado sono personificazioni di concetti astratti: il bisogno, il male, il dolore, ecc.);
3) manicheismo morale: si rappresenta sempre un mondo nettamente distinto in due (i personaggi sono o buoni o cattivi, o furbi o stupidi e non esistono vie di mezzo, la ragione sta sempre da una sola parte);
4) reiterazione e ripetizione: i motivi sono sempre ricorrenti (gli elementi e gli episodi sono spesso presenti anche in altre fiabe). Esiste anche una ricorrenza narrativa di frasi o formule magiche;
5) apoteosi finale: c'è sempre un lieto fine (i buoni, i coraggiosi e i saggi -- o stupidi -- vengono premiati; le ragazze povere diventano principesse; i giovani umili ma coraggiosi salgono sul trono; la virtù premiata, la bontà vince, ecc.);
6) scopo didattico: c'è sempre una morale, anche se non espressa chiaramente come nella favola, che insegna a rispettare gli anziani e la famiglia, ad onorare le istituzioni (le persone che le incarnano sono degne di rispetto solo se "buone"), ad essere generosi con i poveri e gli umili, e coraggiosi con i prepotenti (fino a sfidare le autorità) per migliorare il proprio destino.
IL LINGUAGGIO
Il linguaggio della fiaba è quello dei narratori del popolo, in genere molto semplice e a volte un po' sgrammaticato, ma ricco di modi di dire e di formule popolari. Viene solitamente utilizzato il discorso diretto perché le battute del dialogo permettevano al narratore di cambiare la voce e di tener viva l'attenzione di chi ascoltava.
Sono frequenti e quasi obbligatorie le ripetizioni ("Cammina, cammina...", "Cerca, cerca...", "Tanto, tanto tempo fa...", "C'era una volta...") e le triplicazioni perché raccontare tre volte lo stesso fatto, aveva lo scopo di allungare la storia, di renderla più chiara, di prolungare la sensazione di mistero. Le formule d'inizio e le formule di chiusura sono sempre le stesse ("C'era una volta...", "In un paese lontano...", "Così vissero felici e contenti..."), numerose le formule magiche e le filastrocche.
Come nella pubblicità, la ripetizione e la ridondanza permettono una migliore penetrazione dei contenuti ed una più persistente memorizzazione, ma prima di questo corrispondono ad un'esigenza propria della didattica infantile.
IL TEMPO
Il tempo della fiaba ha sue caratteristiche particolari, che presentano analogie con il sogno. In primo luogo il tempo della fiaba è astorico, cioè non si può posizionare in un periodo storico preciso. In secondo luogo il suo fluire è solitamente irregolare, non assimilabile al tempo scandito dall'orologio; a volte sono presenti dei flash back, dove si parla di cose o persone "perse", o, comunque, avvenimenti spiacevoli avvenuti nel passato. Inoltre, spesso le fiabe vengono ambientate nel medioevo (non solo), dove la monarchia regnava, mettendo in risalto la romanticità dell'essere un reale (principe o principessa) e non curando l'aspetto della situazione economica del popolo. Infine, si può dire che le fiabe vengano, solitamente, collocate in uno spazio temporale irreale, strutturandole sulle basi di antiche leggende (con draghi, animali parlanti, ecc...) e così, stimolando la fantasia e la creatività del bambino e aiutandolo a creare attorno a sè un mondo che sarà di aiuto per l'infanzia del bambino; l'importante è che egli, col passare degli anni, impari a fare buon uso della fantasia, distinguendola, però, dalla realtà.
IL RITO D'INIZIAZIONE
Nel 1946 appariva in russo il saggio di Vladimir Propp Le radici storiche dei racconti di fate e già nel 1949 usciva a Torino nella traduzione italiana di Clara Coisson. Il libro sulle radici storiche doveva essere in origine il capitolo conclusivo del saggio sulla morfologia della fiaba: dopo averne studiato la forma, il folklorista ne indagava le origini, la genesi con l'ausilio delle ricerche etnografiche del tempo. Ma la ricerca si sviluppò tanto da diventare un libro a se stante. La conclusione che Propp raggiunge attraverso un lungo esame analitico è che per la maggior parte gli elementi costitutivi delle fiabe debbano farsi risalire a riti e miti "primitivi" (del regime del clan), e più specialmente al "ciclo d'iniziazione" e alle "rappresentazioni della morte". Le fiabe popolari, soprattutto quelle di magia, sono quindi il ricordo di una antica cerimonia chiamata rito d'iniziazione che veniva celebrata presso le comunità primitive. Durante questo rito veniva festeggiato in modo solenne il passaggio dei ragazzi dall'infanzia all'età adulta. Essi venivano sottoposti a numerose prove con le quali dovevano dimostrare di saper affrontare da soli le avversità dell'ambiente e di essere pertanto maturi per iniziare a far parte della comunità degli adulti. Dopo le prove, i ragazzi e le ragazze, come in una rappresentazione teatrale guidata spesso da uno stregone, dovevano "morire" per celebrare la morte dell’infanzia. Questa loro morte temporanea veniva di solito provocata con sostanze stupefacenti e al risveglio i giovani venivano considerati adulti.
DAL RITO ALLA FIABA
Col passare del tempo il rito d’iniziazione non si celebrò più e ne rimase solamente il ricordo, ma gli anziani continuavano a ricordarlo nei loro racconti. Il racconto degli anziani venne tramandato per secoli e secoli, con trasformazioni continue, anche quando il ricordo del rito si era perso del tutto e nacque così la fiaba. Nella fantasia di chi tramandava i racconti i giovani, sottoposti al rito, sono diventati i protagonisti delle fiabe, gli stregoni sono diventati i personaggi che fanno paura come gli orchi, le streghe, i mostri, i lupi e le armi, che ricevevano i ragazzi, sono diventate i doni magici che i protagonisti delle fiabe ricevono dagli aiutanti che incontrano.
RICERCA E INTERPRETAZIONE
Lo studio dei racconti popolari inizia poco dopo il 1800 e si rivolge quasi esclusivamente alla fiaba e alla saga, mentre l’interesse per altri generi narrativi nasce solamente negli ultimi decenni.
I FRATELLI GRIMM
fratelli Jacob (1785-1863) e Wilhelm (1786-1859) Grimm sono da ritenersi i fondatori della ricerca sul racconto popolare, in particolare sulle fiabe.
Secondo le teorie di quell’epoca, i fratelli Grimm partono dall’idea che ogni popolo ha una sua anima che si esprime con la massima purezza nella lingua e nella poesia, nelle canzoni e nei racconti.
Essi però sostengono che, con il trascorrere del tempo, i popoli hanno perduto in parte la propria lingua e la propria poesia, soprattutto nei ceti più elevati e può, quindi, essere ritrovata solamente negli strati sociali inferiori.
In questa ottica, le fiabe sono i resti dell’antica cultura unitaria del popolo e costituiscono una fonte preziosa per la ricostruzione di quella cultura più antica.
Nel 1812 e nel 1815 i fratelli Grimm pubblicarono due volumi dei Kinder-und Hausmärchen, per un totale di 156 fiabe che formano il punto di partenza dello studio dei racconti o fiabe popolari.
Mentre in un primo momento essi partono dall’idea che le fiabe siano tutte di origine tedesca, nel 1819, nella seconda ristampa della loro opera, essi introducono il concetto che esista un passato indoeuropeo per spiegare le affinità.
ALTRE TEORIE INTERPRETATIVE
La pubblicazione di Kinder-und Hausmärchen stimola, in Germania e in altri paesi, una intensa attività di raccolta e di pubblicazioni.
Si scopre così che fiabe simili compaiono anche al di fuori dell’Europa, nell’India, ma anche nei territori linguistici semiti e turchi e presso i cinesi.
Nel 1859 l’indianista Theodor Benfey (1809-1881) propone la teoria che le fiabe sono nate in India, non come miti, ma come racconti didascalici buddhisti, e che sono giunte in Europa principalmente attraverso vie letterarie, come Le mille e una notte.
Ma anche questa teoria gradualmente dovrà essere abbandonata, perché si incontrano racconti che presentano le caratteristiche delle fiabe anche presso popolazioni che non hanno avuto mai contatti con gli indiani.
Un altro filone interpretativo di fiabe e miti è quello in chiave alchemico-ermetica, di cui uno dei fondatori potrebbe essere considerato il benedettino Dom Antoine-Joseph Pernety (1716-1796), autore de "Le favole egizie e greche" e di un "Dizionario mito-ermetico"; anche se la tendenza ad interpretare le leggende popolari e letterarie del passato come trasposizioni simboliche di un iter iniziatico legato alla Grande Opera dell'Alchimia è diffusa presso numerosi autori di questa antica disciplina esoterica. Fra gli studi più recenti (in lingua italiana) in merito potremmo citare i saggi "Alchimia della Fiaba" di Giuseppe Sermonti, o "Favole Ermetiche" di Sebastiano B. Brocchi.