Spiruota

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Moderatore: nihal87

Spiruota

Messaggiodi Mortalfilo » 13/03/2010, 15:49

Nota dell'autore: in verità il nome originale sarebbe ARDORE DEL NEVISCHIO E UNA GOCCIA PERIODICA NELL’INCHIOSTRO?
altresì apprezzato come SPIRUOTA PRIVA DI DOMANDA
ma non tanto come SPIRUOTA.
Tuttavia la capacità dello spazio del titolo voleva diversamente. Pazienza.
Chiunque abbia seppur la minima intenzione di continuare a leggere mi informi prima di farlo: tenterò il possibile per farlo rinsavire.




(Dalle testimonianze di Mukara-Sii, adattamento)

Conoscevo al tempo (un tempo in cui ancora l’immagine dello yuètù non ornava la faccia della luna, se siete disposti a credermi) un ragazzo, il cui padre era un mio caro amico, che in una notte d’inverno scorse tra gli alberi e la neve un hitodama; cosa già di per sé inusuale, se non si conta che questo giovanotto non fosse particolarmente religioso o altolocato o saggio; sta di fatto che non solo il fuoco fatuo gli si avvicinò spontaneamente quasi cercando rifugio da una persona fidata, ma presto giunsero nei pressi altre fiammelle, tanto che tutto attorno al giovane nel raggio di quattro iarde il bosco era illuminato a giorno.
Ora, se è vero che un hitodama è diffidente e solitario e che neanche come ultima cosa che farebbe al mondo andrebbe a cercar riparo tra le braccia di uno stolto mortale (e io so che è vero per esperienza personale), perché mai un folto gruppo di essi avrebbe dovuto recarsi da un garzone in una notte d’inverno? È possibile che ognuno di quegli spiriti fosse sprovveduto come l’ultimo degli uomini?
La verità è ben diversa. Dato che vissi a lungo dopo quell’evento potei essere testimone della crescita del ragazzo, che, diventato adulto, divenne colui che oggi tutti conoscono come il saggio monaco Gippiki di Nara. Si sarebbe potuto immaginare un tale destino per un bracciante? Evidentemente gli hitodama avevano scorto la saggezza in fondo alla sua anima o intravisto il suo futuro di santo.
È dunque possibile che il giudizio e il raziocinio si possano nascondere in qualunque uomo. Che poi gli hitodama abbiano la facoltà di distinguere gli eventi futuri o la nobiltà della mente di un singolo? A questo non saprei dare risposta. Che lo si domandi a loro.

Fu pochi giorni dopo l’avvenimento di Gippiki che, osservando la mia ombra proiettarsi sul sentiero adiacente a una risaia (ora non ricordo dove), fui capace di notare…


Arrotolai la pergamena e la riposi al suo posto sullo scaffale istoriato. Chissà per qual motivo qualcheduno avrebbe dovuto appoggiare aperto il fascicolo sullo scrittoio? Perché mai, poi, un bibliotecario avrebbe indugiato su quelle parole già lette tante e tante volte? E per quale ignota ragione quegli stessi caratteri, prima passati al vaglio come comuni affermazioni filosofiche sostenute da miti sconclusionati, ora gli causerebbero tanto interesse e gli porterebbero tali emozioni da non essere in grado di definirle?
Questo rimasi a pensare alla debole luce purpurea. Ignoro quanto tempo rimasi nella minuscola stanza. Sta di fatto che impiegai una decina abbondante di minuti per accorgermi che un fil di vento invernale proveniente dalla finestra aperta aveva cambiato colore, intensità e direzione della luce. O meglio, semplicemente, nell’esatto istante in cui l’aria aveva spento la candela, si era fatta viva un’altra fiamma, più forte e chiara, prodotta da fuori, con una tonalità tendente all’azzurrino.
Quasi non osai sporgere lo sguardo oltre il vetro, tuttavia la curiosità, da sempre origine della conoscenza dell’uomo, sopraffece il timore reverenziale. Questo mi spinse ad accostarmi alla finestra e a scorgere quel lume che, inconsapevolmente, mi aspettava.
Trovai infatti, sospeso al mezzo della radura, ora coperta di neve, un ardore innaturale, una vampa di purezza, una combustione di serenità del volume di un pugno e dalle striature del cielo nei giorni d’agosto alternate al bianco dell’intensa luce del sole invernale.
In un attimo però mi accorsi che erano più ardori innaturali, numerose vampe di purezza, parecchie combustioni di serenità che guizzavano l’una la posto dell’altra contornando una figura dal perimetro indecifrabile.
Inconsciamente mi recai all’uscio e, apertolo, mi avvicinai cadendo in ginocchio nella neve, solo con gli abiti leggeri che mi trovavo indosso.
Le fiammelle mi si accoccolarono in grembo, pur non scaldandomi, ma facendomi parere il gelato terreno sotto di me non così freddo.
Era sorprendente quanto quel crepitio mi facesse sussultare lo spirito, come mi rinfrancasse l’anima, come

Qui le parole cominciavano a cancellarsi. Le esperienze di Yihii non erano mai state molto ispiranti da leggere, soprattutto le prime pagine. Stavolta però qualcosa era diverso.
Il campagnolo rimase per qualche minuto con il libro spalancato tra le mani. Non aveva mai pensato di essere troppo casto, o troppo rigoroso, o troppo giusto. Non gli era mai neanche passato per la mente.
Tuttavia, quella debole luce azzurrognola che già s’intravedeva fuori dalla finestra la pensava diversamente. E aveva intenzione di cambiare la vita del giovane e di tante altre anime a venire.
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