di demon black » 14/12/2009, 0:03
Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di guerrieri consacrati a Odino, i berserker, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi o lupi.
Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man mano che cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente devono ricorrere all'inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d'orso e sputo d'uccello.
Ha forma di lupo anche l'innaturale progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skoll e Hati, inseguono dall'alba dei tempi il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.
I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell'epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa gli unge il volto di miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce, sentendo l'odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti e la belva se la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo. Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni possono riprendere sembianze umane. Sigmund e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo.
« [...] quando nel più folto della foresta si imbatté a sua volta in un gruppo di undici uomini. Invece di chiamare lo zio [si erano accordati di non aggredire più di sette uomini contemporaneamente senza chiedere l'aiuto dell'altro], aspettò il momento più opportuno per coglierli di sorpresa, poi li assalì tutti insieme e li sbranò. Lo zio lo sorprende stanco a sonnecchiare presso i corpi degli uomini uccisi e si adira "Non rispetti i nostri accordi, Sinfjotli". »
Sigmund e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli.
Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell'orso mannaro o del gatto selvatico. La diffusione di queste credenze è testimoniata da Olaus Magnus nella sua Historia de gentibus septentrionalis. Magnus racconta come, nella notte di Natale, si radunino in un certo luogo molti uomini-lupo:
« [...] li quali la notte medesima, con meravigliosa ferocità incrudeliscono, e contro la generazione umana, e contro gl'altri animali, che non son di feroce natura, che gl'abitatori di quelle regioni patiscono molto di più danno da costoro, che da quei che naturali Lupi sono, non fanno. Perciochè, come s'è trovato impugnato con meravigliosa ferocità a le case de gl'uomini, che stanno nelle selve, e sforzansi di romperle le porte, per poter consumare gl'uomini e le bestie che vi son dentro »
(traduzione dal latino di Remigio Fiorentino, Venezia, 1561)
Il carattere di questi licantropi si differenzia quindi notevolmente dai lupi genuini, che ne escono quasi riabilitati. I mostri descritti da Magnus hanno anche spiccata tendenza all'alcolismo; dopo essere entrati nelle cantine:
« quivi si bevono molte botti [di birra] e di quella e d'altre bevande, e poi lasciano le botti vote, l'una sopra l'altra, in mezzo alla cantina. E in questa parte sono disformi dai naturali, e veri Lupi »
Ulfhendhnir è il nome dato in molte regioni settentrionali a questi esseri, e il suo significato è "dalla casacca di lupo".
Un giorno senza un sorriso...è un giorno perso (Charlie Chaplin)