Quando si legge una trilogia, non bisognerebbe cominciare dall'ultimo libro, come ho fatto io. Soprattutto se quest'ultimo libro non si conclude, diciamo, con un finale molto aperto...
... però si sa che quando ci si avvale delle patrie bibiloteche, si prende un po' quello che c'è.
Allora, ho letto "La porta di Tolomeo" (il terzo volume della trilogia. Prima ci sarebbero "L'amuleto di Samarcanda" e "L'occhio del Golem").
Bartimeus è un genio. Non nel senso di un ragazzo molto sveglio: è un genio-jinn, uno di quelli che esaudiscono gli ordini del padrone e se gli va male finiscono imbottigliati nelle lampade per i secoli dei secoli. In particolare, è un jinn di grande potenza e prestigio, che si dice abbia avuto tra i suoi padroni Gilgamesh e Salomone ed abbia messo su con le sue manine sante le mura di Uruk e di Praga, oltre a numerosi e svariati interventi risolutivi nella storia dell'antichità. All'inizio della trilogia, Bartimeus si ritrova nella Londra più o meno contemporanea, evocato da un mago di dodici anni, Nathaniel. Nei libri successivi la "collaborazione" tra i due prosegue, e ne "La porta di Tolomeo", Nathaniel, diciasettenne, ricopre l'incarico di Ministro dell'informazione. Siamo infatti in un mondo parallelo, i cui i maghi, coadiuvati dagli spiriti loro asserviti, detengono il potere e lo esercitano con il pugno di ferro nei confronti dei "comuni", che vanamente cercano di organizzare la resistenza. L'Inghilterra, anche grazie al possesso dell'equivalente magico della bomba atomica, è a capo di un impero mondiale, la cui solidità però è a rischio: con l'America è già guerra aperta, mentre focolai di rivolta divampano dall'Europa all'India. La frequentazione delle stanze del potere sta corrompendo Nathaniel, così come la troppo lunga permanenza forzata in questo mondo sta indebolendo Bartimeus e mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza. Il malanimo dei geni nei confronti di chi li evoca (ed i conseguenti tentativi di sbranarli o polverizzarli alla prima occasione utile) derivano infatti non solo dalla spiacevolezza dell'essere detenuti in schiavitù, ma anche dal fatto che la forzata lontananza dall'Altro Luogo, da cui provengono, è per loro penosa e debilitante.
Colpisce di questo romanzo la capacità di veicolare temi cupi come la guerra e la dittatura temperandoli con l'ironia (nel caso di Bartimeus, vero e proprio sarcasmo): con un dialogo fitto tra la pagina e le sue note, Bartimeus ironizza sul suo padrone e sugli umani in generale, senza escludere gli scrittori, gli altri personaggi sbugiardano Bartimeus, e l'autore ironizza sui suoi personaggi e pure un po' sui suoi lettori ... Finale in crescendo drammatico, con la città in preda ai demoni scatenati e tutti i nodi del passato che vengono al pettine.
Consigliato a chi ama mondi paralleli e humor britannico, sconsigliato a che vuole il lieto fine a tutti i costi...