L'augel belverde

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L'augel belverde

Messaggiodi demon black » 18/09/2010, 15:15

FIABA


C'erano una volta a Fontaniva, città nobile e prosperosa, tre sorelle belle, cortesi e piene di grazia, nonostante fossero figlie di un fornaio, che nel suo forno cuoceva il pane per gli altri.
Un giorno le tre sorelle erano nel giardino che a loro piaceva tanto, quando passò il re Ancillotto, che per divertirsi andava a caccia con una bella compagnia. Brunora, che era la maggiore, vedendo quella nobile e allegra compagnia, disse:
"Se io avessi il maestro di casa del re come mio sposo, sono sicura che con un bicchiere di vino disseterei tutta la corte".
"E io,"disse Lionella, "posso assicurare che se avessi il segretissimo cameriere del re come sposo farei tanta tela con un fuso del mio filo che rifornirei di camicie finissime tutta la corte".
"E io," disse Chiaretta, che era la più piccina e anche la più bella, "posso dire che se avessi il re come mio sposo gli farei tre gemelli, due maschi e una femmina, e ciascuno di loro avrebbe i capelli inanellati sulle spalle scintillanti di fili d'oro, una collana d'oro intorno al collo e una stella in fronte".
Uno dei cortigiani sentì queste parole, e subito corse dal re e gli raccontò esattamente quello che avevano detto le tre fanciulle.
Allora il re le fece venire in sua presenza e le interrogò una ad una su quello che avevano detto in giardino, e loro tre con grande cortesia risposero proprio con le stesse parole.
Questo piacque molto al re, e subito il maestro di casa sposò Brunora, il cameriere Lionella, e lui prese Chiaretta. E anziché andare a caccia tornarono tutti a palazzo, dove furono festeggiate solennemente le nozze.
La madre del re però non era affatto contenta, perché Chiaretta, per quanto bella, gentile, garbata nel parlare, era di basso lignaggio, non certo adatta alla nobiltà di un re, e poi non poteva sopportare che un maestro di casa e un cameriere fossero diventati cognati di re Ancillotto.
La suocera prese a odiare Chiaretta ogni giorno di più, non poteva vederla né sentirla, ma per non contraddire suo figlio teneva l'odio nascosto dentro di sé.
Presto Chiaretta rimase incinta, e re Ancillotto ne fu immensamente felice perché sperava di vedere i figli che gli aveva promesso la sua sposa, ma in quel tempo partì a cavallo per visitare terre straniere, dopo aver raccomandato la regina e i figli che stavano per nascere alla sua vecchia madre. Lei non amava e non poteva vedere la nuora, eppure promise al figlio che le avrebbe dedicato tutte le sue cure.
Mentre il re era in terre straniere, la regina Chiaretta partorì tre bambini, due maschi e una femmina, e tutti, come aveva promesso al re quando era ancora una fanciulla, avevano i capelli inanellati e sparsi sulle spalle, con una graziosa catenella al collo e la stella in fronte.
La crudele e malvagia madre del re, priva di pietà e ardente di odio terribile e mortale, appena nacquero i bei bambini decise senza esitazione di farli subito morire, perché nessuno sapesse mai nulla di loro e perché la regina cadesse in disgrazia presso il re suo sposo.
C'era anche questo: che nelle due sorelle, siccome Chiaretta era regina e signora di tutti, era nata un'invidia smisurata contro di lei, e con le loro tresche e la loro malignità facevano di tutto perché quella pazza della madre del re la odiasse sempre di più.
Quando la regina partorì, nacquero a corte tre cani botoli, due maschi e una femmina, che avevano una macchia chiara in fronte e una specie di segno bianco intorno al collo. Spinte da un'ispirazione diabolica le due sorelle invidiose presero i tre cagnetti e li portarono alla crudele suocera, si inchinarono e le dissero:
"Signora, noi sappiamo che non ami e non hai cara la nostra sorella, giustamente, perché è di bassa origine e non è adatta al re tuo figlio una donna così scadente. Sapendo questo noi siamo venute per aiutarti, e ti abbiamo portato questi tre cagnolini stellati in fronte, dicci cosa ne pensi". Alla suocera piacque molto questa cosa, e pensò di portarli alla nuora, che ancora non aveva visto i suoi figli, dicendole che erano quelli i bambini nati da lei. E perché nessuno scoprisse l'inganno, ordinò subito alla levatrice di andare a dire alla regina che i figli che aveva partorito erano tre cani botoli, poi andò da Chiaretta con le due sorelle e dissero:
"Guarda regina, che bei frutti ti sono nati! Tienili di conto, così quando torna il re vedrà questa bella roba". E glieli misero accanto, dicendole che sono cose che capitano. Così le tre donne scellerate avevano realizzato i loro piani, restava solo una cosa: far morire i tre bambini innocenti. Prepararono una cassetta impeciata, ci misero dentro i piccini, la chiusero, e la buttarono nel fiume che scorreva lì vicino, perché la corrente li portasse via.


Ma il Cielo che protegge gli innocenti non permise che accadesse loro del male, e sul fiume passò un mugnaio che vide la cassetta, la prese e l'aprì, trovandovi i bambini che ridevano. E siccome erano bellissimi pensò che fossero figli di una gran signora, che avendo combinato qualcosa di losco li avesse abbandonati alle acque. Richiusa la cassettina se caricò sulle spalle, andò a casa e disse:
"Guarda moglie mia cosa ho trovato in riva al fiume, ti faccio un regalo".
La donna, visti i bambini, li accolse con affetto e li allevò come se fossero stati suoi. Chiamarono i maschi Salvo e Fluvio, e la femmina Ondina, perché erano stati salvati dal fiume.
Il re Ancillotto passava il tempo in allegria, pensando che al ritorno avrebbe trovato tre meravigliosi bambini, ma le cose non andarono come sperava lui, perché sua madre quando sentì che stava arrivando al palazzo gli si fece incontro e gli disse:
"La tua cara moglie invece di tre bambini ha partorito tre cani botoli". E dopo averlo portato nella camera dove Chiaretta giaceva addolorata per il parto, gli mostrò i tre cagnolini che aveva accanto. La regina piangeva a dirotto, dicendo che non aveva partorito i cani, ma le tre sorelle confermarono tutto quello che aveva detto la madre.
Sentendo questo il re rimase sconvolto, e quasi cadde in terra per il dolore, poi quando si riprese si sentì incerto, non riusciva a capire a chi doveva credere, ma alla fine pensò che fossero vere le parole di sua madre.
Vedendo che la povera Chiaretta era affranta dal dolore e sopportava con nobiltà il disprezzo delle sorelle e della suocera, il re ne sentì pietà e non volle condannarla a morte, ma ordinò che fosse chiusa sotto il posto dove si rigovernavano i piatti e i tegami, e che per cibo non avesse altro che la spazzatura e i rimasugli che cadevano da una grata in quella cella puzzolente.
Mentre l'infelice regina si trovava in quella prigione dove si nutriva d'immondizia, la moglie del mugnaio cresceva i tre gemelli, e ogni mese tagliava i loro capelli inanellati, dai quali cadevano grosse pietre preziose e bianche perle, tanto che il mugnaio smise di macinare il grano e diventò ricchissimo, mentre i bambini crescevano nell'abbondanza.
Erano già grandi quando sentirono parlare il mugnaio e sua moglie, e scoprirono che non erano figli loro, ma che erano stati trovati in una cassettina portata dal fiume. Furono molto colpiti da questa cosa e, desiderosi di cercare la loro fortuna, si accomiatarono dai genitori adottivi e partirono.
Questa cosa non piacque al mugnaio e a sua moglie, che si videro privati delle ricchezze che uscivano continuamente dalle loro chiome d'oro.
Salvo, Fluvio e Ondina si misero in cammino, e dopo tanti giorni giunsero a Fontaniva, la città del re Ancillotto loro padre, e qui affittarono una casa in cui vivevano insieme provvedendo ad ogni loro necessità con il ricavato delle pietre preziose e delle perle che cadevano dal loro capo.
Un giorno accadde che il re andando a passeggio per le sue terre con un seguito di cortigiani per caso passò da dove abitavano i tre gemelli, che non avendo ancora visto né conosciuto il re scesero per le scale e andarono sulla porta, si tolsero il cappello e, chinando le ginocchia e la testa, lo salutarono con grande cortesia. Il re, che aveva la vista di un'aquila, li guardò bene in viso, e quando vide che avevano una stella d'oro in fronte, sentì un'agitazione che gli sconvolgeva il cuore, perché quei tre giovani potevano essere i suoi figli. Così si fermò e chiese:
"Chi siete? E da dove venite?".
Loro risposero con umiltà: "Noi siamo poveri forestieri venuti ad abitare nella tua città", e il re disse: "Ne sono molto lieto, e come vi chiamate?".
Il primo rispose: "Salvo", e il secondo: "Il mio nome è Fluvio". "E io," disse la sorella, "mi chiamo Ondina".
"Vi prego di venire tutti insieme a pranzo da me".
I giovani erano arrossiti, e siccome alla nobile richiesta non si poteva dire di no, accettarono l'invito.
Il re, tornato a palazzo, disse a sua madre: "Signora, oggi mentre ero a passeggio per svagarmi un po', ho incontrato per caso due bei giovani e una fanciulla piena di grazia, e tutti e tre avevano una stella d'oro in fronte: se non mi sbaglio sembrano quelli che mi aveva promesso la regina Chiaretta".
Sentendo queste parole la vecchia scellerata si mise a ridere forte, ma in cuor suo sentì una pugnalata. Allora fece chiamare in segreto la vecchia comare che come levatrice aveva assistito al parto e le disse:
"Lo sapete, mia cara comare, che i figli del re vivono, e sono più belli che mai?".
La comare rispose: "Com'è possibile signora? sono affogati nel fiume!".
La vecchia regina disse: "Dalle parole del re io ho capito che sono vivi, e ora dovrai darti da fare, altrimenti noi corriamo un pericolo mortale".
Rispose la comare: "Stai tranquilla signora, che spero di fare in modo tale che moriranno tutti e tre".


La comare se ne andò e si diresse subito alla casa di Salvo, Fluvio e Ondina; trovò la fanciulla sola, la salutò e si mise a parlare con lei, e dopo un po' di tempo le disse: "Avresti per caso, mia cara, l'acqua che balla?", Ondina le rispose di no, e la donna disse:
"Oh! Mia cara, quante belle cose vedresti se tu ce l'avessi! perché bagnandoti il viso con l'acqua che balla diventeresti ancora più bella di come sei".
Disse la fanciulla: "E come potrei fare per averla?";
La comare rispose: "Manda i tuoi fratelli a cercarla, che la troveranno, perché non è tanto lontana da queste terre", e dopo aver detto questo se ne andò.
Quando tornarono a casa Salvo e Fluvio, Ondina andò loro incontro, e li pregò in nome del bene che le volevano di cercare in ogni modo di portarle questa preziosa acqua che balla. Salvo e Fluvio la prendevano in giro e rifiutavano di andare, perché non sapevano proprio dove cercarla, ma poi, sentendosi pregare tanto e con tanta dolcezza dalla loro amata sorella, presero un'ampolla e partirono insieme.
I due fratelli avevano cavalcato ormai per tanto tempo, quando giunsero a una fonte cristallina, dove una candida colomba si rinfrescava. Senza alcun timore la colomba disse:
"O giovani, che cosa andate a cercare?";
Fluvio le rispose: "Noi cerchiamo quell'acqua preziosa che, come dicono, balla".
"Oh, poverini!", disse la colomba, "e chi vi manda a cercare quell'acqua?";
rispose Salvo: "Nostra sorella".
Disse allora la colomba: "Voi andate sicuramente verso la morte, perché là ci sono molti animali velenosi che appena vi vedono vi divorano. Ma lasciate a me questo compito, e vi porterò io l'acqua che balla". Prese l'ampolla che avevano i giovani, se la legò sotto l'ala destra e si alzò in volo; e dopo essere andata dove si trovava l'acqua meravigliosa e aver riempito l'ampolla, ritornò dai fratelli che aspettavano con grande desiderio il suo ritorno.
Dopo aver ricevuto l'acqua e aver ringraziato di cuore la colomba, i giovani tornarono a casa, e la diedero a Ondina, dicendole chiaramente che non doveva più chiedere servizi di quel genere, perché avevano rischiato di morire.
Non erano trascorsi molti giorni quando il re rivide i tre gemelli, ai quali disse:
"Perché dopo aver accettato il mio invito non siete venuti a desinare con me quel giorno?"; loro con grande umiltà risposero:
"Urgentissime faccende, maestà, sono state causa di questo".
Allora disse il re: "Vi aspetto in tutti i modi domani a pranzo da me".
Ritornato a palazzo il re disse alla madre che aveva rivisto i giovani con la stella d'oro in fronte, e la vecchia si spaventò: fatta di nuovo chiamare la comare in segreto le raccontò tutto, pregandola di darsi da fare per il grande pericolo che correvano. La vecchia le disse di non preoccuparsi e di non aver paura di nulla, perché lei avrebbe fatto in modo tale che nessuno li avrebbe mai più visti.
Lasciò il palazzo e andò a casa della fanciulla, che era sola, e le chiese se ancora non le avevano portato l'acqua che balla. Ondina rispose che l'aveva, ma che per portargliela i suoi fratelli avevano corso dei grandissimi pericoli.
"Eppure io vorrei proprio," disse la vecchia, "che tu mia cara avessi il pomo che canta, perché tu non hai mai visto una cosa tanto bella, né hai mai sentito un canto così soave e dolce". La fanciulla disse: "Non so come fare per averlo, i miei fratelli non vorranno andare a cercarlo, perché hanno rischiato di morire senza speranza di salvarsi";
"Te l'hanno pur portata l'acqua che balla, e non sono morti. E come ti hanno trovato l'acqua ti troveranno il pomo che canta", disse la vecchia, e se ne andò.
La comare se n'era appena andata, quando arrivarono a casa Salvo e Fluvio, e Ondina disse loro:
"Io, fratelli miei, vorrei tanto vedere e sentire il pomo che canta con tanta dolcezza. E se non farete in modo che possa averlo, state certi che la mia vita tra poco finirà".
Sentendola parlare così i fratelli la sgridarono aspramente, dicendo che non volevano rischiare la vita per lei, com'era già accaduto in passato. Ma Ondina li pregò e pianse tanto, che Salvo e Fluvio decisero di accontentarla in tutti i modi, qualunque cosa dovesse capitare.
Allora montarono a cavallo e partirono, e cavalcarono tanto che giunsero a un'osteria, dove entrarono chiedendo all'oste se per caso poteva insegnare loro dove trovare il pomo che canta dolcemente.
"Sì," rispose l'oste, "ma non ci potete andare, perché il pomo è in uno splendido giardino, sorvegliato da una bestia dalle grandi ali spiegate, che uccide tutti quelli che si avvicinano".
"Come potremo fare noi, che abbiamo deciso di averlo in tutti i modi?".
"Se mi ascolterete," disse l'oste, "riuscirete a prenderlo, la bestia non potrà nuocervi e non morirete. Prendete questa veste fatta tutta di specchi, e quando sarete vicini al giardino uno di voi la indosserà, ed entrerà dalla porta aperta, mentre l'altro resterà fuori attento a non farsi vedere. La bestia attaccherà quello che sarà entrato, ma vedendo se stessa negli specchi cadrà a terra immediatamente, così lui potrà avvicinarsi all'albero del pomo che canta e prenderlo con garbo, poi senza voltarsi indietro uscirà dal giardino".
I fratelli ringraziarono a lungo l'oste, poi partirono e seguirono tutti i suoi consigli, così riuscirono a prendere il pomo che canta, e lo portarono alla sorella, pregandola di non costringerli mai più a intraprendere imprese tanto pericolose.
Passati molti giorni il re vide i giovani, e dopo averli fatti avvicinare disse: "Per quale ragione non siete venuti a desinare da me secondo l'ordine che vi avevo dato?".
Fluvio gli rispose: "Non c'è altra ragione, maestà, che ci ha fatto disobbedire al tuo ordine, solo certi affari ci hanno trattenuto".
Disse il re: "Vi aspetto domani, e fate in modo di non mancare, a qualunque costo".
Salvo disse che se avessero potuto liberarsi da certe loro faccende ci sarebbero andati molto volentieri.
Ritornato al palazzo il re disse di nuovo alla madre che aveva rivisto i giovani, li aveva nel cuore, pensando sempre a quelli che gli aveva promesso Chiaretta, e non poteva trovare pace finché non venivano a desinare con lui.
La madre del re sentendo questo discorso si mise in un'agitazione ancora peggiore delle altre volte, avendo paura di essere scoperta. E così impaurita e infuriata mandò a chiamare la comare e le disse:
"Io credevo proprio, comare mia, che i fanciulli oramai fossero morti e che non se ne sarebbe sentito più parlare, invece loro sono vivi, e noi corriamo un pericolo mortale. Datti quindi da fare, o moriremo tutte".
Disse la comare: "Grande signora, state tranquilla e non agitatevi, perché farò in modo che sarete contenta di me, e non avrete più alcuna notizia di loro".
Decisa a farla finita andò dalla fanciulla, e dopo averla salutata le chiese se aveva ricevuto il pomo che canta. Ondina rispose di sì e allora la vecchia astuta e maligna disse:
"Pensa mia cara, che quello che hai ora non è nulla, se non potrai avere anche una cosa molto più bella e preziosa delle altre due".
"E che cosa sarebbe, nonnina, questa cosa tanto bella di cui mi parli?", disse la fanciulla;
la vecchia le rispose: "L'Augel Belverde, mia cara, che parla giorno e notte, e racconta cose meravigliose. Se tu lo possedessi, potresti chiamarti felice e beata". E dopo aver detto queste parole andò via.
Appena sentì arrivare i fratelli, Ondina andò loro incontro, e li pregò di soddisfare il suo unico desiderio. E quando le chiesero che cosa desiderava, lei rispose: "L'Augel Belverde".
Fluvio, che si era visto venire addosso ad ali spiegate la bestia feroce e velenosa, ricordava bene il pericolo e si rifiutava decisamente di partire alla ricerca. Ma Salvo, dopo essersi rifiutato anche lui per un bel po' di tempo, pieno di amore fraterno e commosso dalle lacrime che non smettevano di scendere dagli occhi di Ondina, decise di accontentarla e convinse anche suo fratello. Così partirono insieme a cavallo, e dopo molte giornate di viaggio giunsero in un prato fiorito e verdeggiante, al centro del quale cresceva un albero altissimo dalla chioma rigogliosa, circondato da tante statue di marmo che parevano vive, e lì vicino c'era un ruscello che bagnava il prato. Su quest'albero l'Augel Belverde tutto contento saltellava di ramo in ramo, articolando parole che non parevano umane ma celestiali. I giovani smontarono dai loro cavalli, che lasciarono liberi di pascolare, e si avvicinarono alle figure di marmo, ma appena le toccarono diventarono statue anche loro.
Per tanto tempo Ondina aspettò ansiosamente il ritorno di Salvo e Fluvio, ed ebbe paura di averli perduti per sempre, senza alcuna speranza di riabbracciarli.
Mentre aveva questo grande dolore e piangeva per la triste morte dei suoi fratelli, decise tra sé e sé di tentare la sorte, e salita su un bel cavallo si mise in viaggio, cavalcando tanto che arrivò nel luogo in cui l'Augel Belverde stava sul ramo di un grande albero parlando dolcemente.
Appena entrò nel prato riconobbe i cavalli dei suoi fratelli che brucavano le fresche erbe; poi guardandosi attorno con attenzione vide Salvo e Fluvio trasformati in due statue che erano tali e quali a loro e ne rimase stupefatta.
Allora smontò da cavallo, si avvicinò all'albero, stese la mano e afferrò l'Augel Belverde. Quello, vedendosi privato della libertà, disse:
"Ti prego, mia dolce fanciulla, di lasciarmi andare e di non trattenermi fra le tue mani, e vedrai che al momento giusto te ne verrà un gran bene".
Ondina gli rispose: "Non ti accontenterò di sicuro, se prima non farai tornare vivi i miei fratelli".
Allora l'uccello disse: "Guardami sotto l'ala sinistra, e troverai una penna molto più verde delle altre, con dei piccoli segni gialli: prendila, avvicinati alle statue e con la mia penna tocca i loro occhi, appena lo farai i tuoi fratelli torneranno in vita".
Ondina gli alzò l'ala sinistra, trovò la penna come le aveva detto l'uccello, poi andò vicino alle figure di marmo, toccò i loro occhi ad uno ad uno con la penna e subito le statue si trasformarono in esseri viventi. Vedendo i suoi fratelli vivi come prima, con immensa gioia li abbracciò e li baciò.
Siccome Ondina aveva ottenuto ciò che gli aveva chiesto, l'Augel Belverde la pregò di restituirgli la libertà, promettendole di ricompensarla generosamente, se un giorno avesse avuto bisogno del suo aiuto.
Ma Ondina gli disse: "Non ti libererò mai, finché non avremo scoperto chi sono i nostri veri genitori, quindi abbi pazienza".
I fratelli discussero a lungo su chi doveva tenere l'uccello, e alla fine si accordarono di lasciarlo con Ondina, che lo teneva con grande amore e gli dedicava tutte le sue cure. Poi rimontarono a cavallo e tutti contenti ritornarono a casa.
Il re, che spesso era passato davanti alla casa dei tre gemelli, non li aveva più visti e non capiva cosa fosse successo; chiese notizie ai vicini, ma gli risposero solo che da tanto tempo non erano a casa.


Poco tempo dopo che erano tornati videro il re, che chiese cos'era successo, perché erano mancati così a lungo.
Salvo rispose che alcuni fatti straordinari li avevano trattenuti molto lontano, e per questa ragione non erano andati da lui a palazzo, gli chiedevano perdono ed erano pronti a rimediare. Il re capì che avevano corso grandi pericoli e si sentì commosso, e non volle andare via di là senza portarli con sé a desinare.
Senza farsi vedere, Salvo prese l'acqua che balla, Fluvio il pomo che canta e Ondina l'Augel Belverde, andarono felici a palazzo col re e si sedettero alla sua tavola.
La malvagia madre del re e le due sorelle invidiose, vedendo una fanciulla così bella e due giovani così aggraziati e cortesi, dagli occhi splendenti come stelle del firmamento, cominciarono a sospettare, e sentivano una grande agitazione.
Salvo, finito il desinare, disse al re: "Maestà, noi vogliamo, prima che sia sparecchiata la tavola, farti vedere alcune cose che ti piaceranno moltissimo", e presa una coppa d'argento ci mise dentro l'acqua che balla e la posò sulla tavola.
Fluvio mise la mano in tasca, prese il pomo che canta, e lo posò accanto all'acqua.
Ondina, che teneva in grembo l'Augel Belverde, subito lo posò sulla tovaglia.
Allora il pomo cominciò un dolcissimo canto, e l'acqua a questa musica cominciò a ballare meravigliosamente. Il re e tutti i cortigiani erano così contenti vedendo queste cose, che non stavano nella pelle dalla gioia. Ma paura e agitazione aumentarono per la madre scellerata e le sorelle crudeli, perché temevano a ragione per la loro vita.
Quando il canto e il ballo finirono, l'Augel Belverde cominciò a parlare e disse:
"Sacra maestà, cosa meriterebbe chi avesse voluto la morte di due fratelli e una sorella?".
La madre del re volle rispondere per prima: "Dovrebbe essere bruciata viva", e così dissero anche le sorelle invidiose.
Allora l'acqua che balla e il pomo che canta alzarono la voce dicendo: "Ah! Madre bugiarda e piena di scelleratezza, tu ti condanni da te stessa! E voi malvage e invidiose sorelle, con la maligna comare sarete condannate a un unico supplizio!".
Il re sentendo queste parole era rimasto attonito, ma l'Augel Belverde continuò a parlare così: "Maestà, questi sono i tuoi tre figli, quelli che tanto hai desiderato! E la loro madre innocente è ancora nella puzzolente cella sotto l'acquaio".
Il re ordinò subito che Chiaretta fosse liberata e vestita come si conviene a una regina, e quando fu pronta Chiaretta si presentò al re e, nonostante fosse stata tanti anni nella fetida prigione, la sua bellezza era intatta. Allora l'Augel Belverde raccontò ai presenti questa storia, dall'inizio alla fine, con tutto quello che era successo. Il re finalmente, comprendendo cos'era accaduto, pianse di gioia e abbracciò forte la sua sposa e i suoi tre cari figli, poi, siccome nella grande felicità non pensarono più all'acqua che balla, al pomo che canta e all'Augel Belverde, i tre esseri magici scomparvero tutti insieme.
Le donne malvage e crudeli furono giustamente punite, mentre il re Ancillotto con la regina Chiaretta vissero insieme felici e contenti, dopo aver celebrato le nozze della principessa Ondina con un potente re e aver lasciato il trono di Fontaniva a Salvo e Fluvio, che regnarono a lungo in pace e prosperità.
Ma ogni tanto si vede nell'aria una scia verde screziata d'oro, come se fosse passato ancora l'Augel Belverde.



di Gianfrancesco Straparola
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