FIABAC’era una volta un re che si chiamava Pompone. Egli aveva una figliola bellissima, e poiché desiderava per lei un marito straordinario, cioè il giovane più bravo, coraggioso e forte del suo regno, ordinò al banditore di percorrere città e villaggi leggendo questo bando:
- Tutti i giovani sono invitati a corte per essere sottoposti ad alcune prove. Il vincitore avrà in sposa la principessa.
I giovani udendo il rullo del tamburo, si radunarono ad ascoltare; i ricchi e i nobili facevano subito a sellare il cavallo e partirono alla volta della capitale, ma i poveri pensarono: “La principessa non vorrà mai sposare uno straccione come noi”. E tornarono al loro lavoro.
Più ardito degli altri fu un pastore che pascolava il suo gregge di capre poco lontano.
Udito il bando pensò: “Perché non dovrei provare anch’io?”. E consegnato il gregge al padrone, dopo aver radunato le sue cose in un fagottino, partì a piedi verso il castello del re.
Quando giunse a corte, dignitari e domestici, vedendolo così mal vestito, incominciarono a farsi beffe di lui; ma il capraio non si turbò: chiese di lavorare e fu messo in cucina a lavare i piatti; mangiava gli avanzi della mensa reale e dormiva nella stalla. Così, quando giunse il giorno stabilito, potè presentarsi anche lui.
Coloro che erano giunti al cospetto del re erano veramente i giovani più belli e ricchi del suo regno, e re Pompone li guardava compiaciuto; ma quando vide il pastore così male in arnese arricciò il naso. Tuttavia lo ammise alle gare, sperando che venisse rapidamente eliminato.
E invece il capraio vinse tutto: le gare di forza, le gare di destrezza, le gare di coraggio. Agile, attento, ardito, riuscì prima in assoluto e tutti lo applaudirono. Tutti meno il re, naturalmente, il quale era pentito di aver diffuso quel bando, anche se doveva ammettere che questo giovane era senza dubbio il migliore fra i concorrenti.
Deciso a levarselo di torno, cercò una scappatoia che gli permettesse di non rimangiarsi la parola data, e rivolto al giovane gli disse:
- Le prove non sono terminate: devi superarne ancora tre. Domattina condurrai al pascolo le mie cento lepri e domani sera le riporterai a casa tutte e cento. Se questo ti sembra troppo difficile, puoi ritirarti.
Il giovane si accorse che il re cercava di scoraggiarlo, perché non lo voleva come genero. Gli sarebbe piaciuto accettare la prova subito, ma temeva di fare una brutta figura; perciò disse:
- Lasciatemi un giorno di tempo per riflettere: poi deciderò.
Uscito dal castello si diresse verso la campagna, nella speranza che l’aria dei boschi, a cui era abituato, gli portasse una buona ispirazione. In fondo a una stradicciola, seduta sotto un albero, vide una vecchia che gli chiese l’elemosina.
- Nonnina – le disse cortesemente – io non possiedo nemmeno un soldo, ma ho qui un pezzo di pane e un pezzo di formaggio che provengono dalla mensa del re. Mangiateli e buon appetito.
La vecchina accettò di buon grado, e cominciò a chiacchierare col capraio che si era seduto sotto l’albero per farle compagnia.
- Figliolo – gli disse ad un tratto – ti vedo pensieroso. Che cosa ti succede?
Il capraio narrò ogni cosa e concluse:
- Se accetto di sostenere la prova, domani sera tutti rideranno di me, perché è impossibile che io possa ricondurre alla stalla le cento lepri. Se non accetto non sposerò mai la principessa.
- Nulla è impossibile a chi ha il cuore buono – disse la vecchietta, e continuò: - ascoltami bene, prendi questo zufolo e accetta la prova. Quando avrai bisogno di soccorso, suonalo e tutto si accomoderà.
Il capraio prese lo zufolo, ringraziò, tornò al castello e si presentò al re.
- Ho deciso di accettare la prova – dichiarò. – Son pronto.
Il re rideva sotto i baffi; infatti non appena il giovane fu condotto al recinto delle lepri e aperse il cancelletto, le bestiole si gettarono a corsa pazza verso la campagna, disperdendosi da tutte le parti e in un attimo sparirono. Anche i cortigiani e i servi ridevano a crepapelle, ma il capraio non si scompose e si avviò dietro le lepri fischiettando. Non appena fu lontano sedette sopra un sasso, portò lo zufolo alle labbra e soffiò: meraviglia! Dai fossi, dai cespugli, dalle siepi sbucarono le lepri, e in batter d’occhio furono tutte intorno a lui e incominciarono a mangiar l’erba tranquille.
Un cortigiano, che voleva divertirsi alle spalle del capraio, e lo aveva seguito di soppiatto, vedendo quello spettacolo rimase di stucco. Tornò al castello di corsa e riferì tutto a re Pompone:
- Le cento lepri sono intorno a quello straccione e non ne manca neanche una!
Il re si gratto la testa impensierito, ma la principessa ideò subito uno stratagemma per impadronirsi di una lepre. Depose la corona e i gioielli, si travestì da pastorella e raggiunse il capraio.
- Che belle bestiole! – esclamò appena arrivata. – Non si potrebbe averne una?
Il giovane riconobbe subito la principessa, ma fece finta di nulla:
- Certamente – rispose – ma solo se mi allaccerete le stringhe della scarpa sinistra.
La principessa non aveva mai allacciato le scarpe a nessuno, nemmeno le proprie: ma pur di avere la lepre, si inginocchiò e allacciò la scarpa del pastore. Appena ebbe la bestiola, la mise in un cestino e si allontanò soddisfatta. Ma aveva fatto pochi passi che il pastore prese lo zufolo, vi soffiò dentro e subito la lepre schizzò fuori dal cestino e tornò in mezzo al branco.
Quando la principessa arrivò alla reggia e s’accorse di non aver più la lepre, si disperò e pensò sgomenta: “La lepre mi è scappata, e io sarò costretta a sposare quel giovane …”. Il capraio era veramente un bel ragazzo e le piaceva molto, ma essa non voleva ammetterlo. Allora si mise a piangere a calde lacrime e il re la consolò:
- Non temere: proverò io, vedrai che riusciremo ad eliminare quell’intrigante.
Detto fatto, si travestì da boscaiolo, salì in groppa a un somarello tutto spelacchiato, e partì verso la campagna. Ben presto avvistò il pastore che sorvegliava le lepri.
- Che belle bestiole! Esclamò. – Non si potrebbe averne una?
Il pastore aveva subito riconosciuto il re, ma aveva fatto finta di nulla.
- Certamente – rispose. – Però io sono un tipo bizzarro e voglio un prezzo speciale.
- Quale prezzo?
- Baciare il vostro asino sotto la coda, e vi darò una lepre.
Re Pompone divenne rosso come un pomodoro: nessuno mai aveva osato rivolgergli una richiesta simile! Esitò parecchio: ma a mali estremi, estremi rimedi! Per consolarsi pensò: “ Sono travestito da boscaiolo e nessuno ne saprà mai nulla”. E con un sospiro alzò la coda dell’asino e fece quando gli era stato richiesto. Così ebbe la lepre, la mise in una tasca della logora palandrana e si allontanò.
Ma non aveva nemmeno fatto cento passi che il pastore soffiò leggermente nello zufolo: la lepre udì, schizzo fuori dalla tasca e tornò nel branco. Re Pompone non se accorse lì per lì, ma quando fu al castello vide che la tasca era vuota.
- Quel giovane è più furbo di tutti noi – concluse amaramente. – Forse sarebbe un buon re per questo regno. Ma non voglio dare mia figlia a un capraio, perciò inventerò qualche altra cosa.
Alla sera il pastore ritornò con le sue cento lepri: non ne mancava neanche una.
- Bravo! – gli disse il re. – Hai superato la prima prova. Ecco la seconda: ho fatto mescolare ben bene nel mio granaio cento staia di piselli con cento staia di lenticchie. Se riuscirai a separare i piselli dalle lenticchie nel corso di una notte e senza bisogno di lanterna, ti permetterò di sposare mia figlia.
Il capraio rabbrividì, ma poi si ricordò dello zufolo magico e rispose sicuro:
- Va bene.
Subito fu chiuso nel granaio, mentre i servi ridevano a crepapelle esclamando:
- Starà fresco, questa volta! Non ci riuscirebbe nemmeno se chiamasse ad aiutarlo un esercito di formiche!
Le formiche…non appena fu solo, il capraio suonò lo zufolo piano piano, e da tutte le fessure, dalle finestre, dal tetto, ecco sbucare le formiche a migliaia. Incominciarono subito a trasportare i piselli da una parte e le lenticchie dall’altra, e quando spuntò l’alba il lavoro era ormai terminato. Allora il pastore picchiò alla porta e gridò:
- Lasciatemi uscire! Ho finito!
I servi e cortigiani accorsero e rimasero sbigottiti; il lavoro era finito davvero! Re Pompone ammise che nessun altro, nel suo regno, sarebbe stato capace di tanto, ma non volle cedere ancora:
- Bene, bene! – bofonchiò. – Ecco l’ultima prova: questa notte dovrai mangiare tutto il pane che si trova in quella stanza.
Aprì un uscio e mostrò uno stanzone pieno di sfilatini e di pagnotte. Servi e cortigiani scoppiarono a ridere, ma il giovane non si turbò, anzi quella sera cenò più abbondantemente del solito. Poi si fece chiudere nella stanza piena di pane. Quasi quasi non vi entrava nemmeno, e i servi dovettero spingere dentro; poi chiusero a doppia mandata.
Non appena rimasto solo il giovanotto prese lo zufolo e vi soffiò dentro. Subito da tutte le fessure e i buchi delle pareti e del pavimento, incominciarono a uscire topi che si gettavano sul pane divorandolo a quattro palmenti. Quando una schiera era sazia, ne subentrava un’altra. In breve, quando all’alba il gallo reale cantò, la stanza era pulita come il palmo della mano. Allora il capraio incominciò a battere contro la porta gridando a perdifiato:
- Aprite, altrimenti svengo: ho una fame da morire!
Non c’era più nessun rimedio! Tuttavia re Pompone tentò un’ultima scappatoia: fece portare un grosso sacco e disse:
- Devi riempirlo di bugie, e quando sarà pieno farò celebrare le nozze.
Il capraio, davanti a tutta la corte, incominciò subito a raccontare frottole su frottole, spesso tanto divertenti che anche la principessa rideva di gusto; ma il re gridava:
- Il sacco non è pieno! Il sacco non è pieno!
- Bene – disse infine il capraio – adesso racconto le due bugie più grosse; un giorno venne da me la principessa travestita da pastorella, e per ottenere una delle mie lepri, si degnò di allacciarmi le scarpe. E poco più tardi giunse re Pompone travestito da boscaiolo, il quale, pur di ottenere una lepre …
- Non una parola di più, altrimenti il sacco trabocca! – urlò il re.
Il pastore tacque subito e, ottenuto finalmente il consenso per le nozze, sposò la bella principessa e vissero insieme per lunghi anni felici e contenti.
di Ludwig Bechstein